Petrolio e armi, il verso non cambia
Il nostro presidente del consiglio, l’instancabile Matteo Renzi, è stato in Africa la settimana scorsa e ha portato con sé, per esempio in Mozambico, una delegazione di cui facevano parte i […]
Il nostro presidente del consiglio, l’instancabile Matteo Renzi, è stato in Africa la settimana scorsa e ha portato con sé, per esempio in Mozambico, una delegazione di cui facevano parte i […]
Il nostro presidente del consiglio, l’instancabile Matteo Renzi, è stato in Africa la settimana scorsa e ha portato con sé, per esempio in Mozambico, una delegazione di cui facevano parte i numeri uno di Eni, Claudio Descalzi e di Finmeccanica, Mauro Moretti, nominati di recente in quei ruoli, per una scelta decisa, dopo lungo dibattito e attenta riflessione, dal governo nazionale.
Eni è al primo posto tra le multinazionali italiane e si occupa d’idrocarburi; li scava, li trasporta, li commercia in molte aree del mondo. Finmeccanica dal canto suo è soprattutto una fabbrica di armi e di avanzati sistemi d’arma.
Non è difficile immaginare il motivo della partecipazione di Moretti e Descalzi alla spedizione africana stessa; si tratta di vendere e di comprare, un’attività che s’inquadra nelle parole stesse del presidente, raccolte dalla Rai: «Un Paese ambizioso costruisce strategie di medio periodo. Tra dieci anni energia, agrofood, export sarà nel cuore dell’Italia prima volta».
Così Matteo Renzi spiega, da Luanda, ultima tappa del suo tour in Africa, gli obiettivi della missione in Mozambico, Congo e Angola.
La crescita e i posti di lavoro sono la vera urgenza di Renzi. Anche per rilanciare il «made in», il premier è in Africa con l’obiettivo nei mille giorni di sostenere 22mila imprese e produrre solo con l’export un punto di Pil».
Un punto di Pil. Ecco il risultato che un grande, pur se un po’ seduto, paese europeo pensa di ricavare vendendo a prezzi elevati e comprando bene servizi avanzati e altre mercanzie a un gruppo di paesi tra i più poveri del mondo. L’idea stessa di un commercio siffatto riempie di slancio le imprese associate nella Confindustria.
Si parla di 22 mila imprese, ma pare piuttosto la famosa Cooperazione italiana che torna, che torna anzi nell’Africa a sud del Sahara, come ai tempi gloriosi della Somalia delle autostrade dei giorni di Siad Barre e dell’Etiopia redenta e in fiore per il Tana-Beles dei giorni di Menghistu.
Quella cooperazione italiana in Africa è stata forse una vera matrice della prima Tangentopoli: venivano trascurate le regole e l’onestà dei commerci, la bravura e il merito di chi vinceva le gare non serviva a niente, ma si metteva al primo posto la corruzione dei funzionari e dei ministri che avevano a che fare con i commerci stessi.
Torniamo per un attimo a Descalzi e Moretti. Il primo va in Africa per cercare petrolio e probabilmente ne troverà, e troverà gas e ogni altra ricchezza nel sottosuolo, migliorando di mezzo punto il nostro Pil. Come effetto secondario si prolungherà di un altro anno la durata del modello «fossile» nel mondo, un effetto benefico, secondo la maggioranza; e aumenterà di un’altra frazione il livello d’inquinamento da Co2, ammesso che esista davvero, secondo quel che pensa la stessa maggioranza di prima.
All’altro mezzo punto di Pil provvederà Moretti vendendo armi e sistemi d’arma agli stessi che pagheranno con gas e petrolio. Qui il discorso diventa sottile. Vendere armi non piace a nessuno, in teoria, ma in pratica tutti i ministri, tutti gli industriali, tutti i banchieri sanno che esistono i buoni e i cattivi.
I cattivi non devono avere armi; sono solo altri cattivi che gliele vendono. Invece i buoni – i nostri – devono potersi difendere. Quindi dobbiamo vendere loro le armi necessarie, tanto più che ci consentono di migliorare il nostro amatissimo Pil.
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