Petrolio, aiuti umanitari e basi militari: la Turchia si prende il Corno d’Africa
Africa Ankara a rafforza la sua presenza in Somalia, Sudan e altre aree lungo il Mar Rosso. Crescono le tensioni con le monarchie del Golfo, anch'esse presenti con forti interessi in quella regione
Africa Ankara a rafforza la sua presenza in Somalia, Sudan e altre aree lungo il Mar Rosso. Crescono le tensioni con le monarchie del Golfo, anch'esse presenti con forti interessi in quella regione
“Yeni Osmanlıcılık”, in turco “Neo-Ottomanesimo”. Questa espressione è usata in riferimento al disegno strategico che la Turchia di Recep Tayyip Erdogan cerca di realizzare nelle aree geografiche che per secoli avevano fatto parte dell’Impero Ottomano. Qualcuno storce il naso quando si parla di Neo-Ottomanesimo ma non ci sono dubbi sulle ambizioni di Erdogan. E se sono ben evidenti in Siria, nei Balcani o in Nordafrica, dove appoggiando il Gna di Fayez el Sarraj contro il generale Haftar, Ankara tiene a bada avversari come gli Emirati e l’Arabia saudita, meno note ma non meno importanti sono quelle nel Mar Rosso e nel Corno d’Africa. Da lì Erdogan tiene d’occhio la porta posteriore della Penisola Arabica e i traffici commerciali (e non solo) che transitano per quelle acque. La collaborazione offerta dai servizi segreti turchi di base in Somalia nelle trattative che hanno portato alla liberazione di Silvia Romano, conferma quanto sia radicata la presenza di Ankara in quel paese tormentato da guerre e miseria e posizionato lungo lo Stretto di Bab el Mandeb che collega il Mar Rosso all’Oceano Indiano.
L’influenza della Turchia nel Corno d’Africa di recente è tornata sotto i riflettori dopo l’incarico dato da Mogadiscio ad Ankara di fare esplorazioni petrolifere nei suoi mari. Un annuncio preceduto dal contestato accordo marittimo firmato dalla Turchia con il governo di Tripoli. Erdogan comunque in Somalia c’è da lungo tempo. Nel 2017, per fare un esempio, è stato inaugurato un enorme centro di addestramento turco di truppe somale. Non è certo un caso che l’ambasciata turca più ampia per dimensioni sia stata edificata proprio in Somalia. Negli ultimi dieci anni le ong islamiste turche sono state la testa di ponte di Erdogan per espandere la sua influenza nel Mediterraneo e in altre aree. Ad aprire nel 2011 la strada verso la Somalia alle imprese, alle forze armate e ai servizi segreti della Turchia è stato proprio l’aiuto umanitario: generi di prima necessità, medicine, edilizia leggera, ospedali da campo. Poi è arrivata la partecipazione alla ricostruzione. La Turchia è stata tra i primi Stati a riprendere le relazioni diplomatiche con la Somalia dopo la fase più acuta della guerra civile. E il primo a riprendere i voli verso Mogadiscio. Oggi, oltre all’aeroporto della capitale, imprese turche gestiscono anche il principale porto marittimo.
Lo sfruttamento delle risorse energetiche, a partire dal petrolio offshore della Somalia, è uno dei pilastri della presenza di Ankara nel Corno d’Africa. Erdogan sta mettendo le mani anche sul Sudan dove ha confermato con le nuove autorità “rivoluzionarie” i 13 accordi siglati a Khartoum qualche anno fa con il presidente rimosso Omar al Bashir che porteranno in fururo gli interscambi tra le due economie a 10 miliardi di dollari all’anno e al completamento di una base militare turca sull’isola di Suakin. Gli interessi economici sono prevalenti. Tuttavia Ankara nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso vuole anche contrastare gli interessi delle rivali petromonarchie del Golfo che considerano quei territori come la loro retrovia strategica da proteggere da nemici vecchi e nuovi. Erdogan dall’Africa non manca di dare una mano all’amico Qatar impegnato da quasi tre anni in un duro scontro diplomatico ed economico – e di immagine – con l’Arabia saudita e i suoi alleati. Per questo gli Emirati accusano Mogadiscio di essersi schierata con Doha, sotto la pressione turca. La Somalia risponde denunciando le interferenze di Abu Dhabi in Somaliland che minerebbero la sua stabilità.
Erdogan esporta nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso rivalità che destabilizzano un contesto già vulnerabile, caratterizzato da una crescente presenza militare straniera. Riyadh intende costruire una sua postazione armata a Gibuti che già ospita basi di cinque paesi, tra cui una italiana. Reparti sauditi sono presenti ad Assab in Eritrea dove già esiste una base emiratina. Inoltre le esplorazioni petrolifere turche nelle acque somale rischiano di aprire una controversia con il Kenya poiché i giacimenti si trovano in una zona marittima al centro di una disputa da lungo tempo sul tavolo della Corte internazionale di giustizia. A ciò si aggiunge la preoccupata attenzione che le mosse di Erdogan suscitano in Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Israele.
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