Nel giugno del 1882, Giosuè Carducci, nel breve studio critico Il Petrarca alpinista, commenta la lettera che Francesco Petrarca indirizza a Dionigi de’ Roberti, dotto frate agostiniano, teologo e astrologo, nella quale racconta la sua salita sul Ventoso, un monte di quasi duemila metri poco distante da Valchiusa, il 26 aprile del 1336. Lettera famosa nella quale il poeta esprime il suo sentimento della natura.

«Il Petrarca» scrive Carducci «anche nei sonetti elegiaci dopo la morte di Laura, e in quelli di viaggio, e in certe mirabili sestine autunnali e invernali, vede confonde o rispecchia nel paese sé stesso o le condizioni presenti dell’animo suo». E aggiunge: «E di questo modo forse ha da essere concepito il paesaggio nella lirica». Se ne trova, del resto, una lampante conferma se, nella dimensione di luoghi e accadimenti naturali («Chiare, fresche et dolci acque (…) gentil ramo (…) herba et fior»), Petrarca trova la poetica presenza di Laura, ovvero la residenza, per dir così, in ‘immagini di natura’ del suo sentimento amoroso.

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Ci rammenta Carducci che «Francesco Petrarca, a trentun’anno, erasi fatto, si può dire, avignonese. E tra la curia, la famigliarità dei Colonna e l’amore per Laura menava una vita tra di politico di studioso e di poeta, sempre irrequieto: scontento com’era di quella corte, di quella città, di quegli uomini; proseguendo con desideri confusi una imagine di perfezione religiosa e civile nei libri degli scrittori classici e dei cristiani».

Lascio alla bella prosa di Carducci di completare il ritratto di Petrarca quale ritroviamo nelle pagine della lettera al de’ Roberti, dove all’amico (al quale aveva per consuetudine altre volte affidato le sue intime pene) sono narrati i pensieri e le sensazioni che egli vive nel salire alla cima del Ventoso. Un Petrarca giovane, continua dunque Carducci, che si mostra a noi «esplorando ed esperimentando con amara voluttà le debolezze del suo cuore nel maceramento d’una passione faticosamente ideale; innamorato della gloria e delle sue apparenze pur sentendone profondamente la vanità, e nel tumulto della fangosa Avignone aspirando lontani gli acri piaceri d’una solitudine aspra, dura, quasi di cenobio».

L’‘alpinista’ Petrarca ci informa innanzi tutto delle asperità del percorso. Ci dice dei suoi tentativi di imboccare tratturi e sentieri meno ripidi nella speranza di alleggerire il disagio della salita e la fatica del cammino. Ma è costretto più volte a constatare che, se vuol raggiungere la vetta del Ventoso, lo sforzo è arduo, non sono praticabili scorciatoie e la prova non c’è altra possibilità che affrontarla di petto. Grazie alla vivezza del racconto ci inerpichiamo anche noi al fianco di Francesco, su per le forre della montagna. E ad un tempo comprendiamo, procedendo nella lettura, che il racconto contiene una assai chiara allusione.

Commenta Carducci: «Tra le fatiche del corpo l’animo intanto del poeta vegliava, e il suo pensiero osservava sé stesso. Tale la salita, tale la vita: ei meditava. Alla felicità non si giunge per la piana e la comoda; e guai a chi s’accovaccia neghittoso nelle convalli del peccato, se le tenebre o l’ombra di morte lo colgano!».

In tenebris et umbra mortis, queste parole del Salmista (106, 10, 14) affiorano alle labbra di Francesco quando, scrive, «mi sedei in una valle; e lì, passando con l’agile pensiero dalle cose materiali alle incorporee, mi rivolgevo a me stesso». Mentre il sole volge al tramonto e la luce si attenua e sull’ampio paesaggio cala una prima ombra, Petrarca volge il pensiero al transeunte ed all’effimero della condizione umana: «piangevo sulle mie imperfezioni, e mi addoloravo della instabilità comune a tutti gli affetti umani; e mi parve di aver dimenticato il luogo dov’ero e la cagione per cui vi ero venuto».

Petrarca era salito sul Monte Ventoso con in tasca, dice, «un libretto di piccola mole», le Confessioni di Agostino. Lassù, ad apertura di pagina (X, 8, 15), gli capita di leggere: «E gli uomini se ne vanno ad ammirare gli alti monti e i grandi flutti del mare e i larghi letti dei fiumi e l’immensità dell’oceano e il corso delle stelle; e trascurano sé stessi».