Peter Sloterdijk, tutto il «grigio» contemporaneo
Scaffale Pubblicato da Marsilio il libro del filosofo tedesco. Secondo l'autore, se la vista del rosso, del bianco, del nero - e, adesso, del verde - annebbia e infiamma, inducendo a prese di posizioni unilaterali e polarizzanti, ben venga allora l’avvento di un grigio che, anziché significare l’indifferenza di chi si abbandona pigramente al «così è», suggerisce uno spazio aperto di tolleranza, moderazione, senso della misura
Scaffale Pubblicato da Marsilio il libro del filosofo tedesco. Secondo l'autore, se la vista del rosso, del bianco, del nero - e, adesso, del verde - annebbia e infiamma, inducendo a prese di posizioni unilaterali e polarizzanti, ben venga allora l’avvento di un grigio che, anziché significare l’indifferenza di chi si abbandona pigramente al «così è», suggerisce uno spazio aperto di tolleranza, moderazione, senso della misura
«Finché non si è dipinto un grigio, non si è pittori», ammoniva Paul Cézanne. Nel suo Grigio. Il colore della contemporaneità (Marsilio, pp. 304, euro 19), Peter Sloterdijk trasla la sentenza del pittore francese dalle arti visive al pensiero. Da qui si dipana una lunga serie di libere variazioni fenomenologiche attraverso la filosofia, la scienza e le arti. Sloterdijk è al suo meglio quando adopera il grigio come spia allegorica o metaforica per tracciare le sue virtuosistiche genealogie: stanno nel grigiore della burocrazia fondazione e legittimità dello Stato moderno; sono le tonalità plumbee degli apparati a rivelare la vera natura dei totalitarismi dai colori accesi; è con la grigia normalizzazione dei conflitti che si è resa possibile la prosperità delle democrazie borghesi.
MA LADDOVE PROVA a farsi meditazione cromatica sulla Stimmung dominante del nostro presente, il libro si espone in modo ricorrente al pericolo dell’impressionismo – e in modo ricorrente vi precipita. L’erudizione non basta a nascondere fastidi, partiti presi e regolamenti di conti poco razionalizzate. Non vengono risparmiati, ad esempio, i «regolamenti ecoburocratici» dettati dalla nuova «religione» ambientalista e sintomatici di una «menopausa postdemocratica» dello Stato da cui dovrebbero salvarci «rinascimenti anarchici» e «forti brezze liberali».
Del resto, la visione di fondo di Sloterdijk, fin dalla Critica della ragion cinica, è che la politica sia in ultima istanza una forma di addomesticamento e canalizzazione delle pulsioni psichiche. Dai giacobini in poi, una fluidodinamica di rabbia e risentimento sarebbe sufficiente a spiegare l’ascesa delle sinistre radicali, dei grandi movimenti di massa nazionalisti o dei radicalismi religiosi. Così, se la vista del rosso, del bianco, del nero – e, adesso, del verde – annebbia e infiamma, inducendo a prese di posizioni unilaterali e polarizzanti, ben venga allora l’avvento di un grigio che, anziché significare l’indifferenza di chi si abbandona pigramente al «così è», suggerisce uno spazio aperto di tolleranza, moderazione, senso della misura.
CONTRO LE RETORICHE del disincanto del mondo e del trionfo opprimente degli apparati in grisaglia, Sloterdijk invita quindi a scommettere sulle virtù dell’ordinaria amministrazione, della rassicurante medietà quotidiana, di zone grigie, liberate dal pregiudizio dell’ambiguità cinica, in cui si aprono ai soggetti nuovi spazi di invenzione e varietà, di stoica adiaphoria, al riparo da rigidi inquadramenti e conformismi.
Tuttavia, se il suo aristocratico individualismo nietzschiano del passato poteva affascinare, e finanche persuadere, nella misura in cui scuoteva l’intellighenzia europea dall’autocompiacimento del suo common sense democratico, la scommessa di Sloterdijk sulle virtù di una politica in toni di grigio non convince. Essa appare piuttosto come la reazione di un nervoso ultimo uomo che, davanti a sfide drammatiche, anziché elaborare un pensiero alla loro altezza, pretende di superarle invitando a moderare i toni.
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