Peter Grimes, maree di enigmi
Teatro dell'Opera di Roma Britten preleva un personaggio dal poema di George Crabbe e lo sottrae al marchio di criminale
Teatro dell'Opera di Roma Britten preleva un personaggio dal poema di George Crabbe e lo sottrae al marchio di criminale
In una delle ultime scene di un capolavoro del cinema in bianco e nero, M il mostro di Düsseldorf, dopo che la città intera si è unita per stanare un serial killer di bambine, il piccolo, goffo, sgraziato Peter Lorre scoppia in un pianto disperato, confessandosi impotente a resistere all’impulso disumano che ha fatto di lui, appunto, un mostro. E
ra il 1931 e Fritz Lang non aveva fatto sconti al suo protagonista, ma al tempo stesso aveva cercato di scrutare negli abissi del suo animo: impossibile non tremare nel sentire le parole dello psicopatico di fronte al tribunale: «ho sempre… la sensazione che qualcuno mi stia seguendo. Ma sono invece io che inseguo me stesso». La letteratura del primo Novecento, e a seguire il cinema e il teatro, anche musicale, avevano scavato nelle psicologie criminali: pensiamo a Berg, con Wozzeck e ancor più con Lulu; a Hindemith, che in Cardillac aveva scelto come protagonista un altro serial killer; persino a Puccini, che in Turandot aveva tentato di dar volto musicale a una spietata assassina.
Alla soglia dei trent’anni, già conosciuto nel mondo musicale (anche in America dove era stato con Auden tra il 1939 e il 1942), ma non ancora davvero famoso, anche Benjamin Britten scelse un soggetto che metteva al suo centro una figura negativa: un pescatore che uccide per sadismo tre mozzi quasi bambini; la vicenda proveniva da una novella di George Crabbe scritta ai primi dell’Ottocento.
Britten ne era stato subito attratto perché era ambientata proprio sulle coste del Suffolk, dov’era nato lui. Il titolo della novella era Il borgo e questo chiarisce la presenza marcata, nell’opera di Britten, della vita del paese, via via ritratta nei suoi momenti chiave: la messa della domenica, le sere alla taverna, il tribunale, il lavoro dei pescatori. Questa pluralità di volti, con l’avvicendarsi di situazioni prosaiche e quotidiane, è tipica del teatro musicale novecentesco, fin già dalla Fanciulla del West; Britten riesce a farne una galleria di tipi, fissandone ciascuno in una sua fisionomia specifica e poi mescolandoli in quell’insondabile entità che è la folla, con i suoi pregiudizi e l’ancestrale inimicizia per il diverso. È proprio questo ‘diverso’ a costituire il vero fulcro degli interessi di Britten; ed ecco perché la sua opera è intitolata al protagonista, Peter Grimes, figura criptica e ambigua, a cui però Britten toglie il marchio di criminalità che Crabbe gli addossava senza attenuanti, scegliendo invece di sfumarne i contorni e di non chiarire tutti gli aspetti.
L’opera si apre in medias res, senza alcun preludio o prefazione strumentale, con Grimes di fronte a un improvvisato tribunale composto dai notabili del paese: piccolo capolavoro di insinuazioni, di accuse sommarie, di malcelate curiosità, a cui Grimes replica con le tipiche esitazioni e farfugliamenti di chi non è forte di lingua.
Di che cosa viene accusato Grimes? Un ragazzino, suo aiutante, è morto durante una spedizione di pesca al largo, con tempesta; il paese mormora, addossa la colpa della tragedia al fare manesco di Peter Grimes e fors’anche a qualcosa di più torbido. Non ci sono prove e quindi non segue incriminazione; tuttavia Peter è visto come un paria da tutti i compaesani, con poche eccezioni, tra cui l’anziano capitano Balstrode, che lo ritiene più sventurato che cattivo e vorrebbe aiutarlo. A stargli vicino è comunque soprattutto Ellen, vedova, maestra del paese, abituata a occuparsi dei più deboli.
I due sognano addirittura di sposarsi; Peter però è deciso a dimostrare alle malelingue le proprie capacità e prima di tutto vuole diventare ricco. Questa ossessione gli sarà fatale, perché attizza in lui una frenesia che, squilibrandolo, gli fa compiere gesti violenti, tanto da alzare le mani su Ellen, a cui pure vuole bene (il giro di boa dell’opera: «Che Dio abbia pietà di me», esclama Grimes, sconvolto dalla propria reazione).
Finirà nel peggiore dei modi: anche il nuovo mozzo, strattonato da un Grimes irritato e impaziente, morirà in mare, scivolando da una roccia insidiosa. Il borgo insorge e parte in massa a cercarlo, in una caccia all’uomo di violenza impressionante, al ritmo martellante del tamburo; a Peter Grimes non resta che allontanarsi sulla sua barca e – come gli consiglia Balstrode – affondarsi al largo, forse più per soffocare il proprio dolore di vivere che per sottrarsi al linciaggio.
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Britten per la nuova stagione dell’Opera di RomaLa partitura di Peter Grimes riesce nel difficile intento di dar vita interiore ed efficacia rappresentativa a tanti elementi compresenti: l’ottusità del paese, ma anche la nevrosi di Peter, il suo desiderio di rivalsa e di autosufficienza, la sua «innocenza equivoca», come l’ha definita Ernesto Napolitano. E tuttavia quando nel secondo quadro entra nella taverna guardando il cielo stellato, il protagonista si solleva davvero ben alto sopra la prosaicità del borgo ed è impossibile non esserne toccati. Complice la voce del primo interprete, Peter Pears, tenore capace di toni chiari di testa, Britten materializza qui in suoni le stelle, secondo una tradizione che risale ai madrigali rinascimentali e passa persino per la Nona di Beethoven. «Chi può riportare indietro i cieli e ricominciare da capo?», conclude poi Grimes come fra sé, senza badare agli sguardi ostili che lo circondano. La sua esclusione dal gruppo è sancita poco dopo, quando tutti intonano all’unisono una canzone («Old Joe had gone fishing») e anche lui cerca di inserirsi nel coro, ma sbaglia clamorosamente l’attacco, la nota e persino la velocità.
Peter Grimes ha un altro protagonista indiscusso, immagine anch’essa moderna di una natura che attrae e respinge, che aiuta e distrugge, secondo i casi: è il mare, presente negli interludi che si inseriscono fra ogni quadro e il successivo e, col pretesto pratico di consentire i cambi di scena, collegano tutto in unità.
Britten crea qui dei veri piccoli poemi sinfonici, pitture di paesaggio che spesso trovano posto in autonomia nei programmi dei concerti sinfonici sotto il nome di Four sea interludes. Come spesso succede nel teatro del Novecento, forme strumentali e forme vocali convivono alla pari, con una ricchezza qui davvero da capogiro, dai richiami alle polifonie antiche fino alla moderna riscrittura di arie, duetti o concertati, tra accensioni sinfoniche e squarci intimistici. Natura e psicologia si specchiano l’una nell’altra in tutto il loro mistero; Britten si astiene dal giudizio, non condanna e non assolve; il suo Grimes non è più un mostro, ma un enigma.
Quando Peter Grimes andò in scena per la prima volta, nel 1945 a Londra (già due anni dopo approdava in Italia, alla Scala), molti storsero il naso di fronte all’abbondanza di invenzione melodica, a quei tempi ritenuta passatista; altri additarono i modelli che trapelano.
Ma il pubblico apprezzò fin da subito e oggi si può dire che, se i riferimenti alla tradizione non fanno che rendere più stuzzicante l’insieme, l’invenzione e la novità di quest’opera continuano a emozionare e coinvolgere; dopo Peter Grimes, volenti o nolenti, tutti dovettero far spazio al nome di Britten fra i grandi del Novecento.
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