Peter Bogdanovich e la magia del bianco e nero
Hollywood Un incontro avvenuto un mese prima della scomparsa del grande regista, morto ieri a 82 anni. «Ho fatto tante cose prima di dirigere: giornalista, attore e sei lavori off-Broadway»
Hollywood Un incontro avvenuto un mese prima della scomparsa del grande regista, morto ieri a 82 anni. «Ho fatto tante cose prima di dirigere: giornalista, attore e sei lavori off-Broadway»
Abbiamo incontrato Peter Bogd Aanovich l’ultima volta a distanza, via ’immagine virtuale di Zoom, parente molto distante di quel cinema che fu il grande amore della sua vita. Al cinema Bogdanovich ha dato tutto, come attore, critico, autore ed enciclopedico esegeta, lui figlio di emigrati ebrei serbi da cui aveva ereditato una sensibilità artistica e una madrelingua straniera. Esattamente un mese fa avevamo parlato – dalla casa della San Fernando Valley che divideva con la moglie Louise – dei suoi ricordi e dei suoi progetti. Fra questi aveva in cantiere una nuova collezione di interviste (con Arthur Miller, Lauren Bacall, Clint Eastwood e Kirk Douglas), un autobiografia ed un film su George ed Ira Gershwin.
Lei è arrivato al cinema dal giornalismo, giusto?
Scrivevo sul giornale del mio liceo, facevo recensioni di cinema e teatro. Poi all’inizio degli anni 60 ho cominciato a scrivere pezzi per Esquire. In seguito ho pubblicato un paio di libri-intervista; con Orson Welles, Alfred Hitchcock e Howard Hawks. Ho fatto un sacco di altra roba prima di dirigere il mio primo film. Avevo fatto cinque o sei regie teatrali, cose off-Broadway e poi fuori New York. Però non ho iniziato come critico o giornalista. Prima avevo fatto l’attore. Nell’estate in cui ho compiuto 16 anni recitavo in una compagni stabile a Traverse City in Michigan!
Quale è stata la sua maggiore soddisfazione professionale?
Non saprei, mi è piaciuto lavorare su ogni film – a parte quelli con orribili produttori. Ma certo L’ultimo spettacolo è stata un esperienza particolarmente intensa: sono arrivato in Texas una persona e l’ho lasciato un altro. È stata una produzione molto complicata. Io ero innamorato di Cybill (Shepherd, ndr.) e durante le riprese siamo andati in crisi. Poi mi sono divertito a girare Ma papà ti manda sola? – Barbra Streisand era uno spasso. Ma credo che il mio preferito rimanga …e tutti risero (They All Laughed) con Ben Gazzarra, Audrey Hepburn e Dorothy Stratten. Abbiamo girato nella mia città, New York, ed io ero semplicemente pazzo di Dorothy, adoravo Audrey Hepburn e Ben era un vecchio amico. Non sarà il mio migliore film ma resta il mio preferito.
De «L’ultimo spettacolo» ricorre il cinquantesimo anniversario. Cos’altro ricorda di quella produzione?
Abbiamo deciso all’inizio di puntare su ottimi attori. Inizialmente avevamo perfino pensato di ingaggiare James Stewart per interpretare il tizio che nel paese era padrone del cinema, del ferramenta e e del ristorante, il ruolo che poi è andato a Ben Johnson. Ero un gran fan di Stewart, ma poi ho capito che una star del suo calibro avrebbe reso meno autentico il film e che serviva un vero texano e un cowboy come Johnson. Che poi per la sua interpretazione ha vinto l’oscar.
Come mai in bianco e nero?
Ne stavo parlando con Orson Welles e gli avevo chiesto come avrei potuto ottenere la stessa profondità di campo che c’era in Quarto Potere. Lui mi rispose «Col colore non l’avrai mai». Ma i film sono cambiati, dissi io, oggi sono più veloci…e lui insisteva «non l’avrai mai col colore»; lo disse due volte. E poi aggiunse: «Lo sai cosa dico del bianco e nero? Che è il migliore amico degli attori perché ogni performance pare migliore».
A proposito di cambiamenti, considera importante che un film venga visto sul grande schermo?
Molto importante. Se non lo vedi al cinema perdi anche l’esperienza di vederlo assieme ad un pubblico e questo per me è deprimente – soprattutto per quanto riguarda le commedie. Non c’è niente di meglio che ridere assieme a tanta gente. Ricordo che la prima di What’s Up Doc fu a Ny, al Radio City Music Hall che è la sala più grande del paese con 6500 posti. Le risate scuotevano letteralmente l’edificio. Ricordo di aver parlato in quei giorni con Cary Grant. «Il mio ultimo film apre a Radio City», gli dissi. E lui (imita l’accento di Grant, ndr.) «Bene anch’io ne ho aperte un paio laggiù..ti consiglio di metterti all’ultima fila – quando ridono 6500 persone è un toccasana» Aveva ragione!
Il futuro del cinema?
Non so. Si producono molti buoni film e molti non così buoni – come è sempre stato, non credo oggi sia differente. Ciò che è venuto prima ti aiuta ad andare avanti. Educarti su ciò che ti ha preceduto è sempre prezioso. Quindi evviva il buon cinema!
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