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De Andrè e il paese realeNell’autunno del 2010 i Perturbazione sono una band pronta a cogliere i frutti della maturità, a pochi mesi dall’ambizioso doppio album Del nostro tempo rubato che, con inedita ampiezza stilistica, consolida in senso autoriale il successo del precedente Pianissimo fortissimo (2007). È questo, in estrema sintesi, il contesto che li vede accogliere l’invito a portare in scena La buona novella, con la partecipazione di Nada e di Alessandro Raina degli Amor Fou. Un’unica serata, al Teatro Civico di Varallo Sesia il 23 ottobre del 2010, le cui registrazioni sono rimaste inedite fino a venerdì scorso, giorno della loro uscita per Iceberg/Warner Music Italy.

TEMPO RUBATO è anche quello intercorso tra il concept album di Fabrizio De André, la rilettura della band piemontese e la ricezione di quest’ultima: i Perturbazione odierni, reduci da (Dis)amore (2020), hanno da tempo serrato i ranghi, dopo l’esperienza sanremese di dieci anni fa e le defezioni di Elena Diana e Gigi Giancursi; nel frattempo La buona novella ha assunto i crismi di un classico teatrale, con sempre più frequenti riproposizioni (proprio domani quella di Neri Marcorè torna in tournée). La band di Rivoli ha però il coraggio di fissare su disco la propria versione esponendosi così all’inevitabile confronto con l’originale, in precario equilibrio tra il sostanziale rispetto degli arrangiamenti di Reverberi e la necessità di allontanarsi dall’immagine vocale di Faber.Il coraggio e l’inevitabile confronto con l’originale, con la partecipazione di Nada e Alessandro Raina

PARADOSSALMENTE, sono proprio i momenti di maggior fedeltà musicale a far risaltare in maniera differenziale le performance canore di Tommaso Cerasuolo e quelle di Nada e Alessandro Raina, accomunate stavolta dalla scelta di non rubare il tempo, scandendo anzi il testo in maniera assolutamente metronomica. Se ciò scongiura il rischio di imitazione, preclude allo stesso tempo le tante sfumature di significato concesse dal classico «rubato» deandreiano, dal quale i versi ricevono la propria inconfondibile elasticità ritmica e dinamica. In bilico tra fedeltà al modello e sua reinterpretazione è anche la scelta di mantenere le tonalità originali, le quali costringono Nada ad avventurarsi nelle zone più profonde del suo registro — si ascoltino le prime strofe dell’Ave Maria — per poi riscattarsi d’esperienza con frequenti salti d’ottava. Riscritti per voce solista, inoltre, i due corali in apertura e chiusura (Laudate Dominum e Laudate hominem) guadagnano individualità ma perdono quella dimensione comunitaria così centrale nell’opera di De André, che è pur sempre un’allegoria sacra del Sessantotto.
Quando su Via della Croce i Perturbazione scelgono finalmente di suonare come se stessi, la sensazione di coerenza è palpabile e la stessa voce emerge dallo sfondo per farsi figura, lasciandoci immaginare quale sarebbe oggi il loro approccio alla stessa opera. Si è scritto più volte che nella Buona novella la voce di Cristo spicca per la sua assenza: è così blasfemo pensare che, in questo disco, accada lo stesso per quella di De André?