Pericoli e i personaggi, il segno coincidente
In occasione di «Ritratti di ritratti», Adelphi, un incontro con Tullio Pericoli nel suo studio milanese I casi di Carmelo Bene e Picasso, De Chirico, Eco, Beckett... Quei pomeriggi con Testori in ospedale, «i suoi occhi accesi come fari»... L'artista svuota i cassetti, ogni volto è una sequenza, una ricerca aperta e rapace nelle pieghe vitali
In occasione di «Ritratti di ritratti», Adelphi, un incontro con Tullio Pericoli nel suo studio milanese I casi di Carmelo Bene e Picasso, De Chirico, Eco, Beckett... Quei pomeriggi con Testori in ospedale, «i suoi occhi accesi come fari»... L'artista svuota i cassetti, ogni volto è una sequenza, una ricerca aperta e rapace nelle pieghe vitali
C’è un aspetto intrigante nel dispositivo nel libro-summa Ritratti di ritratti di Tullio Pericoli (Adelphi, pp. 823, euro 45,00). È suddiviso in modo ordinato con gli ottantotto personaggi, da Adorno a Zavattini, disposti in ordine alfabetico. All’interno di ciascuna sezione la sequenza è tendenzialmente libera, regolata però nella gran parte dei casi da un criterio a ritroso. Cioè si inizia con il ritratto nella sua versione conclusiva e poi si passa alla sequenza degli schizzi che dovrebbero documentare il percorso di avvicinamento al volto da disegnare, ma che in molti casi sono invece riprese successive, libere riflessioni con la matita dettate dal desiderio di un dialogo più serrato e più intimo con quello stesso volto Il titolo stesso, Ritratti di ritratti, suggerisce l’idea di questa consuetudine di ritornare sul proprio lavoro.
Sono sequenze di disegni che se ne stavano riposti nei cassetti, un po’ come figli minori di quelli che invece approdavano con successo sul palcoscenico pubblico dei giornali. C’è stato un periodo in cui Pericoli, artista poco feticista rispetto al proprio lavoro, non si preoccupava neppure di conservare questi schizzi: era stato Giovanni Testori, in visita nel suo studio agli inizi degli anni novanta, a notarli, esortandolo a crederci. Aveva anche progettato una mostra che poi non si è potuta fare, per via della malattia che aveva colpito lo scrittore.
«Aveva già pensato al titolo, che allora non mi ero segnato e che con grande rammarico mi sono dimenticato», confessa Pericoli, che incontriamo nel suo bello studio, in una casa si ringhiera affacciata su piazza Tricolore: un angolo di Milano rimesso a nuovo e pedonalizzato per l’apertura della linea 4 della metropolitana. Nell’archivio ci sono altre migliaia di ritratti, guardati con occhio diverso dopo quell’invito di Testori. Per darcene un’idea Pericoli apre i cassetti dai quali sbucano i volumoni nei quali li ha raccolti in copia, suddividendoli per categorie. Messi uno sopra l’altro fanno almeno mezzo metro di ritratti… Negli scaffali, tra i tanti cataloghi di mostre e suoi libri, spiccano quelli dedicati ai ritratti, con una netta e significativa prevalenza di pubblicazioni tedesche.
C’è una differenza interessante di fondo tra i ritratti compiuti e questi disegni rapidi, quasi sempre rimasti allo stadio di stesura a matita. Nei primi si riconosce un consolidato «stile-Pericoli». Nei secondi invece il disegnatore sembra fare un passo indietro e lasciare che la sua mano venga guidata nella scelta del segno dalla tipologia piscologica e umana del personaggio ritrattatto. L’artista definisce questo processo «una ricerca del segno vivente». Vivente perché capace di entrare nelle pieghe vitali del soggetto, e quindi di aderirvi senza sovrapporvisi.
Lo si potrebbe definire anche segno «coincidente», nel quale convergono con esattezza fulminante identità fisiognomica e identità psichica. Nel libro ci sono tanti casi che sorprendono per questa distanza di stile, motivata da una volontà di adesione ai volti piuttosto che di fedeltà a un proprio tratto. Prendiamo i casi di Carmelo Bene e di Pablo Picasso, due sequenze tra le più indimenticabili di questa galleria di ritratti. Con Bene Pericoli ricorre a un segno che sembra il tracciato della sua voce clownesca, surreale e insieme ferita. Un segno-cicatrice, dietro il quale si trincera un personaggio inafferrabile come il grande attore pugliese. Tutto l’opposto il processo messo in atto nell’affrontare Picasso: altra serie di ritratti fulminanti, realizzati in tempi recenti (2021). Qui il segno prende un’energia quasi scultorea, lasciando da parte ogni increspatura; è un tratto pieno di certezze che si solidifica in profili perfino intimidatori. L’occhio è colmo, vigile e vorace. Verrebbe da pensare che la matita non ha disegnato il ritratto di Picasso ma ha «fatto» tout court Picasso.
Il processo di lavoro di Pericoli è molto semplice, metodico, con un’impronta artigianale: parte da una serie di fotografie ricavate da ritagli di giornali e da lì inizia la sua perlustrazione. Indaga il volto come se avesse davanti una cartina geografica, superficie quasi neutra, ma nello stesso tempo se ne lascia agganciare emozionalmente. «Il disegno», spiega, «scaturisce nel punto di fusione tra questi due approcci». Pericoli è inoltre ritrattista con vocazione seriale, ma la sua serialità è diversa da quella introdotta dalla cultura pop che dà valore alla pura ripetizione delle immagini. La sua è una serialità aperta, perché, individuata un’immagine prototipo, inizia a lavorare sulle varianti per allargare lo spettro dell’indagine sul volto prescelto.
È un assedio condotto sempre con grande simpatia nei confronti dei personaggi sottoposti alle sue attenzioni disegnative. Pericoli li approccia con una sorta di rapacità rispettosa e riverente, permettendosi la libertà di trattarli a volte con una delicata e intelligente ironia. Ad esempio, ritraendo De Chirico, in un caso gioca a un divertito ribaltamento di ruoli, nel quale l’artista con il suo pennello sembra prepararsi a dipingere lui il ritratto (o direttamente il volto…) di Pericoli. In un altro caso, De Chirico dà di spalle e ruota il volto infastidito, con quell’atteggiamento scostante che lo contraddistingueva e che il disegnatore sottolinea con benevolenza.
Nel parnaso di Pericoli ci sono anche rapporti preferenziali, originati da ragioni diverse. Samuel Beckett e Umberto Eco svettano, il primo con trentasette ritratti, il secondo addirittura con sessantuno. Nei disegni per Eco emerge la familiarità del rapporto che li aveva legati, nell’esperienza condivisa per esempio negli anni splendenti dell’«Espresso». Nei ritratti a Eco Pericoli sembra giocare affettuosamente con l’amico, con i suoi tic, con la brillantezza delle sue invenzioni letterarie. Un disegno del 1989, in cui lo ritrae con la matita ben appuntita tra i denti, diventa l’immagine più iconica e quasi virale del grande semiologo. Ma poi, nel mazzo dei sessantuno ritratti, è quello più rapido, datato 1998, dove Eco, mani dietro la schiena, sgrana gli occhi in direzione dell’amico, a restarci più di tutti nella mente.
Il caso di Beckett è diverso, in quanto la relazione scatta a partire dalla fascinazione per lo scrittore e dalla coincidenza di questa fascinazione con i caratteri del suo volto. Sono proprio gli occhi di Beckett e la sua fronte incisa di rughe ad affacciarsi dalla copertina del libro, dettaglio di un disegno bellissimo del 2007, e quindi ad aprire la gran sfilata di tutti i ritratti. Quello di Beckett è territorio poeticamente inquieto e non a caso Pericoli davanti al suo volto viene proiettato in una sequenza inedita di sperimentazioni: introduce spesso il colore, fa ricorso a tecniche disparate, a volte per liberarsi dall’ossessività incombente del volto scavato dalle rughe, a volte, all’opposto, quasi obbedendo a un’impellenza mimetica. Nel primo caso ricorre all’olio su cartone; nel secondo chiede alle matite di arrivare a incidere il supporto di legno.
E nel parnaso di Pericoli è inevitabilmente entrato anche Testori, conosciuto alla fine degli anni settanta, quando tutt’e due collaboravano al Corriere della Sera, e soprattutto frequentato nell’ultimo periodo della sua vita. La sequenza di ritratti realizzati tra 1997 e 2009 ruota inderogabilmente sull’epicentro degli occhi dello scrittore. Le matrici come sempre sono alcune fotografie, ma in questo caso gioca anche la memoria delle visite fatte in ospedale durante i lunghi ricoveri dello scrittore. «Ricordo i suoi occhi accesi come dei fari. Nel ritratto che gli ho fatto a olio ho cercato di ripescare quella luce, facendo sbucare una punta del fondo bianco dalla stesura nera sovrapposta per dipingere la pupilla».
Raccontando questo, Pericoli svela anche qualcosa di sé. Spiega di non aver mai fatto ricorso alla macchina fotografica («e per certi casi me ne rammarico»), in compenso di aver allenato i suoi occhi a funzionare come una macchina fotografica. Certamente è andata così in quei pomeriggi trascorsi con Testori ad approfondire la sua anima di ritrattista.
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