Perché sondaggiare stanca
Ri-mediamo In un contesto assai delicato e peculiare qual è l’attuale contesa elettorale, collocata in piena estate e con scadenze assai ravvicinate, la sventagliata quotidiana di cifre predittive dei risultati offerte da una consistente schiera di società non è una componente estranea al conflitto cui ricorrere come una sorta di valutatore terzo, bensì una sequenza della stessa propaganda
Ri-mediamo In un contesto assai delicato e peculiare qual è l’attuale contesa elettorale, collocata in piena estate e con scadenze assai ravvicinate, la sventagliata quotidiana di cifre predittive dei risultati offerte da una consistente schiera di società non è una componente estranea al conflitto cui ricorrere come una sorta di valutatore terzo, bensì una sequenza della stessa propaganda
Le campagne elettorali da tempo durano tutto l’anno. Magari con intensità un po’ diversa, ma anche qui non ci sono più le mezze stagioni. La riconversione della politica a mera costola della comunicazione ha fatto sì che il periodo dedicato storicamente ai comizi e al porta a porta si sia dilatato, ovviamente con una netta preferenza data all’attivismo nei media classici e via via nei social. Ciò non toglie che il periodo considerato dalla normativa sulla par condicio particolarmente protetto abbia tuttora un peso rilevante. E sarebbe bene che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non si limitasse a qualche generico richiamo, bensì tirasse fuori dal taschino i cartellini gialli e quelli rossi.
C’è un punto, però, che merita di suscitare attenzioni che ancora non ha avuto. Parliamo del ricorso costante e quasi ossessivo ai sondaggi. In un contesto assai delicato e peculiare qual è l’attuale contesa elettorale, collocata in piena estate e con scadenze assai ravvicinate, la sventagliata quotidiana di cifre predittive dei risultati offerte da una consistente schiera di società non è una componente estranea al conflitto cui ricorrere come una sorta di valutatore terzo, bensì una sequenza della stessa propaganda.
Non si vuole qui, ovviamente, mettere in causa la serietà delle strutture che operano nel settore. Tuttavia, la questione esiste, eccome.
L’articolo 1, comma 6, lett. b, n.12 della legge 249 del 1997 (la normativa-madre che istituì l’Agcom) attribuisce alla citata Autorità specifiche competenze in materia. Un primo regolamento attuativo della disciplina fu varato nel 2002 (n.153/02/CSP), e modificato dalla delibera n.237/03/CSP. Successivamente, un nuovo atto (n.256/10/CSP) aggiornò l’articolato, finalizzandolo ad una migliore tutela dell’utenza.
Intanto, si chiedeva una chiara distinzione tra i sondaggi basati su metodi di rilevazione scientifica ed altre indagini tese a raccogliere pure manifestazioni di opinione. Non solo. La pubblicazione dei sondaggi va accompagnata da alcune note esplicative fondamentali ai fini di classificare la qualità del prodotto: sul soggetto realizzatore e sul committente; sulla consistenza numerica e l’estensione territoriale del campione utilizzato; sul numero di coloro che non hanno risposto. Sono esclusi i sondaggi pubblicati esclusivamente sui siti dei realizzatori o diffusi in convegni o conferenze stampa.
La documentazione compiuta deve essere disponibile sui siti dell’Agcom e della Presidenza del Consiglio-Dipartimento per l’editoria e l’informazione: dal metodo seguito, alla rappresentatività del campione e al testo integrale di domande e risposte, nonché al margine di errore. Rimane, naturalmente, il divieto di pubblicazione previsto dalla legge n.28 del 2000 nei quindici giorni che precedono il voto e fino all’esaurimento delle operazioni di scrutinio.
L’assiduità con cui vengono diffuse le rilevazioni nei telegiornali e nei numerosissimi talk richiede una particolare attenzione da parte degli organi vigilanti, visto il flusso continuo di trasmissioni elettorali che connota palinsesti estivi peraltro piuttosto poveri e ripetitivi. La serialità delle percentuali attribuite ai vari protagonisti in campo rende concreto l’assunto della psicologia sulla «profezia che si autoavvera».
In un paese per consistenti parti moralmente debole, il vedersi ogni giorno esposte schermate che danno in testa le destre può costituire la premessa per fenomeni di emulazione passiva nei riguardi di una maggioranza virtuale così esibita. Il discorso varrebbe pure nel caso fossero in testa le forze progressiste, a scanso di equivoci.
Se è vero che la percentuale di coloro che mostrano interesse per la politica è bassissima e che, comunque, l’astensionismo presunto è alto, ne discende che la sondaggistica rischia di passare da capitolo delle scienze statistiche al livello delle televendite. Invece di pentole e materassi, voti e simboli di partito. È doveroso cambiare subito registro, restituendo ai sondaggi la dignità che meritano. Si tratta, dunque, di regolare un fenomeno ad alto rischio di manipolazione del clima di opinione.
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