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Perché mancano le terapie intensive. Ma la «preparedness» non è solo italiana

Perché mancano le terapie intensive. Ma la «preparedness» non è solo italianaBaggio, l'ospedale militare di baggio attrezzato per l'emergenza coronavirus – LaPresse

Fin qui l'utilizzo medio dell'80% dei posti è ritenuto efficiente I numeri dei casi positivi francesi, spagnoli e tedeschi sono analoghi ai nostri relativi a una settimana fa. Ma la Germania è la più pronta, 30 postoi ogni 100 mila abitanti

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 12 marzo 2020

I malati di coronavirus in Italia che hanno bisogno di terapia intensiva sono poco più di mille. Sono tanti, ma pur sempre il 20% dei posti letto a disposizione in questi speciali reparti. Come mai allora abbiamo visto pazienti ricoverati in sale operatorie, medici costretti a turni interminabili, situazioni ospedaliere degne di guerre e calamità naturali?

IL PROBLEMA è che la dotazioni di posti letto è stata gradualmente ridotta negli anni e anche in tempo “di pace” le rianimazioni sono al completo o quasi. Nel 2015 il regolamento per gli standard ospedalieri ha stabilito per decreto che un utilizzo medio dell’80/90% dei posti letto durante l’anno deve essere ritenuto «efficiente». Significa che dei circa 5000 letti disponibili nei reparti di terapia intensiva, quelli liberi per l’emergenza Covid-19 in realtà sono meno di un migliaio sul territorio nazionale. Quindi, basta che i pazienti di Covid raggiungano il 20% dei posti letto di rianimazione a disposizione di una regione per saturare i reparti. A quel punto, saranno i medici a dover scegliere se respingere un paziente con il Covid19 (e non lo fanno mai) o rimandare interventi chirurgici e altre attività mediche essenziali. La situazione inoltre è molto variegata, perché i focolai sono concentrati in alcune regioni più che in altre.

IN LOMBARDIA, AD ESEMPIO, i posti letto in terapia intensiva sono circa 900. Secondo i regolamenti, questo dovrebbe garantire circa 200 posti per le emergenze. Ma i malati di Covid19 nella regione sono circa 560. Impossibile far fronte all’epidemia senza ripensare gli ospedali, ricavando nuovi reparti in ogni spazio a disposizione e rimandando interventi già programmati. Le percentuali più simili a quelli della Lombardia si registrano nelle Marche, e in particolare a Pesaro. La Regione, in tempi normali, dispone di circa cento posti di terapia intensiva distribuiti nelle varie province e il Covid-19 ne occupa il 60%. L’azienda ospedaliera “Marche nord” nella provincia di Pesaro dispone in tutto di 8 posti letto in terapia intensiva, ma i pazienti gravi ricoverati sono 22, quasi il triplo.

ANCHE ALTRE REGIONI sono vicinissime a riempire i posti letto liberi, nonostante gli aggiustamenti in corsa. In Emilia-Romagna i pazienti in terapia intensiva sono più di cento, cioè il 20% dei 500 posti disponibili nella regione, proprio la riserva che gli ospedali possono utilizzare prima di stravolgere le attività. In Piemonte i pazienti gravi sono 75 ma rappresentano il 24% dei posti di rianimazione, anche qui sopra la soglia critica. Seguono, appena sotto, il Veneto e la Toscana. I pazienti si possono spostare da una regione all’altra grazie alla Centrale remota per le operazioni di soccorso sanitario (Cross). Ma la Cross non può permettere di trasferire grandi numeri di pazienti viste le loro condizioni. In questi giorni i pazienti che hanno usufruito sono stati meno di venti.

SONO QUESTE LE PRINCIPALI CIFRE della «preparedness» delle nostre regioni. Com’è evidente, la situazione di emergenza diffusa non dipende solo dalla virulenza del virus, ma anche dalle linee guida stringenti mirate alla “razionalizzazione” delle risorse imposte alla nostra sanità. Mentre si sono persi giorni a discutere se il Covid-19 assomigli o meno a un’influenza, la situazione della nostra sanità trascurata è emersa solo negli ultimi giorni.

ANCHE ALTRI PAESI VICINI si trovano in situazioni simili, e forse ancora più a rischio. A loro soprattutto era rivolta la reprimenda del direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il numero dei casi positivi in Francia, Spagna e Germania è analogo a quello registrato in Italia poco più di una settimana fa. Ma mentre in Italia erano già chiuse le scuole e predisposte zone rosse, negli altri Paesi la vita scorre come al solito. Solo i grandi assembramenti (concerti, eventi sportivi, manifestazioni) sono stati cancellati. «Non paralizzeremo la vita sociale ed economica della Francia» ha dichiarato il ministro della sanità Olivier Véran, imitando la spavalderia del suo presidente. «Siamo preparati» ha ripetuto più volte Macron nei giorni scorsi.

EPPURE, LA «PREPAREDNESS» della Francia non è superiore alla nostra. Secondo gli ultimi dati disponibili in letteratura, che risalgono al 2012, i posti in terapia intensiva in rapporto alla popolazione sono circa gli stessi che da noi, 12 ogni centomila abitanti considerando anche quelli degli ospedali pediatrici (ma da noi ci sono più anziani). La Spagna, con più di duemila casi, è messa peggio, perché lì i posti sono meno di 10 per centomila abitanti. Nel Regno Unito il rapporto posti/popolazione scende a 7. Fa eccezione a livello mondiale la Germania, che con quasi 30 posti di rianimazione ogni centomila abitanti è il paese più preparato di tutti a uno tsunami come quello italiano.

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