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Perché la Lombardia non può organizzare il summit

Perché la Lombardia non può organizzare il summitUna manifestazione di protesta a Milano contro la giunta Fontana – Lapresse

G20 salute I sindaci di Milano e Bergamo da una lato e il governatore della Regione dall'altro. La politica in Lombardia, invece di farsi una severa autocritica, rivendica il diritto a ospitare il summit internazionale sulla Salute

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 22 settembre 2020

Non si può rimanere indifferenti di fronte alla corsa a ospitare il G20 da parte dei sindaci di Milano e Bergamo. Essere i rappresentanti istituzionali di territori colpiti pesantemente dal coronavirus non è di per sé un titolo di merito per rivendicare l’onere/onore di ospitare un appuntamento di rilevanza mondiale.

Il 26 febbraio Giorgio Gori, sindaco di Bergamo dalla sua pagina facebook lanciava l’appello: «Bergamo non ti fermare!» e invitava i suoi cittadini a seguire il suo esempio: «…Con questo spirito stasera ho proposto a mia moglie Cristina di venire a cena da Mimmo: per passare una bella sera insieme e dare un piccolo segnale: per dire a noi stessi, e per dire a tutti, forza Bergamo!».

Il giorno seguente – la situazione era di massima preoccupazione, in tutta Italia erano stati identificati 650 positivi dei quali 405 erano in Lombardia, in sei giorni i decessi erano arrivati a 17 – il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, lanciava l’hasthag #Milanononsiferma e nelle settimane seguenti auspicava una riduzione dello smart working in favore di un lavoro in presenza, mentre i report dell’Iss indicavano i luoghi di lavoro come uno degli ambiti nei quali più facilmente si diffondeva il virus.

Messaggi, quelli dei due sindaci, in linea con quanto in quei giorni sosteneva Confindustria e che dimostrano la non comprensione di quanto stava avvenendo e dei rischi che correvano i loro concittadini, verso i quali, in base alla legge n. 833 del’78, hanno la responsabilità ultima nella tutela della salute. Un’autocritica, prima di qualunque autocandidatura, sarebbe doverosa.

Per non parlare delle dichiarazioni stizzite del presidente regionale Fontana che rivendica la primogenitura nella richiesta di ospitare il G20 sulla salute: un insulto all’intelligenza; non si dimenticano le enormi responsabilità che la regione Lombardia ha nelle disastrose scelte compiute nei mesi scorsi, dalla mancata dichiarazione della zona rossa nella zona di Alzano e Nembro fino alla ormai tristemente famosa delibera dell’8 marzo sul trasferimento di persone positive al coronavirus dagli ospedali alle Rsa. Fontana dovrebbe farsi un esame di coscienza e rassegnare le dimissioni. Non so cosa pensi il governo di queste autocandidature, mi auguro che si fermi almeno qualche minuto a ragionare su quanto è accaduto.

Ma prima di decidere la sede sarebbe anche opportuno definire l’obiettivo di tale incontro. L’ultimo G7 sulla salute (fratello minore del G20) svoltosi a Milano il 5-6 novembre 2017, al pari di tutte le edizioni precedenti di simili appuntamenti, non ha portato a nulla, solo qualche roboante dichiarazione di principio.

Oggi è documentato universalmente che i tagli alla sanità imposti dalle politiche di austerità, le privatizzazioni imposte da Fmi, Bce e sostenute anche dall’Ue, la distruzione della sanità territoriale e della medicina preventiva, gli accordi Trips sulla proprietà intellettuale e quindi sui brevetti ventennali garantiti a Big Pharma, sono tra le ragioni che hanno impedito un contrasto efficace alla pandemia. Non mi risulta che, tra i governi rappresentati nel G20, sia in atto un’autocritica sulle scelte compiute, né siano state avanzate proposte significative di cambiamento delle politiche sanitarie.

Se non ci saranno mutamenti profondi in tali orientamenti e nulla lo fa presagire, svolgere il G20 in Lombardia è un insulto al prezzo di vite umane che il territorio ha pagato proprio a causa delle scelte compiute in questi anni dai governi nazionali e regionali che vorrebbero venire in Lombardia a spargere nel vento parole di circostanza, prive di qualunque contenuto.

 

*Nel direttivo nazionale di Medicina Democratica, insegna “Globalizzazione e politiche della salute” all’Università degli Studi di Milano

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