“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, dice l’Articolo1 della Costituzione. Oggi è dunque il giorno in cui dovremmo celebrare la base sulla quale, tra il ’46 e il ’48, l’Assemblea Costituente ha modellato la società uscita da guerra e dittatura.

A 74 anni di distanza, le fondamenta su cui è stato costruito il nostro Paese hanno cambiato radicalmente forma. Il lavoro così come lo intendevano i nostri padri fondatori e le nostre madri fondatrici è stato ormai ampiamente superato. La globalizzazione ha azzerato i confini del mondo e allargato gli orizzonti dei giovani, dando loro nuove possibilità. Dal 2013 al 2021, secondo la Corte dei Conti, in Italia si è registrato un aumento del 41,8% dei trasferimenti all’estero per lavoro. Fuori dai nostri confini, i ragazzi e le ragazze hanno maggiori chance di inserimento e fanno più facilmente carriera.

I tentativi di incentivare il loro rientro attraverso agevolazioni fiscali, le esenzioni Irpef e Irap per 4 anni o il bando “Montalcini” per richiamare i nostri ricercatori, vanno nella direzione giusta ma rischiano di rivelarsi inefficaci se non sono accompagnati da una necessaria nuova cultura del lavoro.
Le giovani generazioni devono credere di poter realizzare anche in Italia le loro ambizioni. E per farlo, bisogna compiere il salto nel futuro. Non è un caso che tra le priorità e gli obiettivi del Pnrr ci sia la transizione digitale. Siamo in ritardo, lo confermano i dati Desi (Digital Economy and Society Index), che attestano l’Italia al 20esimo posto per livello di digitalizzazione in Europa.

E va trovata la formula per garantire stabilità al lavoro. Come è successo in Spagna, dove socialisti e Podemos hanno approvato una riforma del lavoro per combattere la precarietà, un pacchetto di misure mirate ed efficaci che hanno portato al record di assunzioni a tempo indeterminato: 12,8 milioni di lavoratori stabili.
In Italia il precariato non è combattuto a sufficienza, gli stage spesso diventano per le aziende occasione di sfruttamento dei giovani, le regole vengono con troppa frequenza aggirate più che rispettate.

Lavorare, inoltre, non può voler dire rischiare ogni giorno. Il segretario della Cgil Maurizio Landini ha recentemente dichiarato che il nostro Paese ha raggiunto la media di tre morti al giorno sul lavoro. Non facciamo in tempo a contare le vittime.
Come possiamo in questo primo maggio associare la parola “festa” a “lavoro” pensando a quante lavoratori e lavoratrici, a quanti studenti impegnati nell’alternanza scuola-lavoro, proprio sul posto di lavoro hanno perso la vita o sono rimasti infortunati?
Si rafforzino i controlli, si inaspriscano le sanzioni alle aziende che non rispettano le regole per aumentare il profitto. Altrimenti non sarà mai ripresa sostenibile.

Attenzione però. Non scarseggia soltanto la sicurezza, anche l’accesso al mercato del lavoro delle donne è carente. Sono loro le più penalizzate dalla pandemia, le più colpite dalla crisi del terzo settore.
L’occupazione femminile deve fare i conti con perduranti discriminazioni di genere, che affondano le radici nei pregiudizi di una società ancora profondamente patriarcale. Disparità salariale, sessismo, molestie, assenza di amministratrici delegate nei consigli di amministrazione…

Il Parlamento non è stato con le mani in mano, l’Italia nel tempo si è dotata di buone leggi per il contrasto a questi fenomeni. Basti citare fra le tante la legge sul caporalato, quella sul gender pay gap o la ratifica della convenzione Ilo contro le molestie sul lavoro. Malgrado questo, se i problemi persistono, vuol dire che le norme da sole non bastano e vanno associate a un cambiamento culturale non più rinviabile.

Infine bisogna fare i conti con l’aumento repentino del costo della vita dovuto anche alle ripercussioni negative sul nostro Paese della guerra in Ucraina. Come può Confindustria tradurre la impellente necessità di venire incontro alle esigenze di lavoratori e lavoratrici come un ricatto alle aziende? Per venire fuori dalla crisi è necessario proprio un patto sociale tra imprese, sindacati e governo.
Se vogliamo che il nostro sia un paese capace di innovarsi e di guardare al futuro, servono tutele, diritti, stabilità. Solo così potremmo associare al primo maggio le parole “festa” e “lavoro”.