Lavoro

Perché il governo vuole stravolgere il senso del Primo maggio

Perché il governo vuole stravolgere il senso del Primo maggioLa presidente del Consiglio Giorgia Meloni – Ansa

Il caso La presidente del Consiglio ha convocato un cdm durante la festa dei lavoratori. Dovrebbe varare il taglio al cuneo fiscale, giudicato da molti insufficiente anche per l'inflazione. E forse anche il taglio al reddito di cittadinanza e un'altra spinta alla precarietà con la fine del "decreto dignità"

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 aprile 2023

Il governo userà il Primo maggio e dirà di avere fatto qualcosa per i lavoratori, ma non certo tutti. Tra otto giorni, durante la festa del (non)lavoro, il Consiglio dei ministri si riunirà per varare un taglio maggiore del cuneo fiscale. Lo ha annunciato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni secondo la quale «quelli come noi che, in fondo, sono dei privilegiati» «daranno l’esempio». Questo significa che «il governo dedicherà al lavoro, prendendo decisioni sul lavoro». «Tanti italiani», ha detto, saranno al lavoro «negli ospedali, nei trasporti, nei ristoranti, negli alberghi, compresi i tecnici impegnati in Piazza San Giovanni nel Concertone del Primo maggio».

Più esplicito nelle intenzioni polemiche è stato Maurizio Gasparri di Forza Italia. Ieri ha evidenziato l’opposizione tra «chi si diletta con tromboni e chitarre a spese della Rai» e chi invece «lavora» come il governo. Vecchia polemica destrorsa. Nella politica spettacolo conta il rimasticamento dei simboli. Fa parte di una «guerra culturale». Dopo il 25 aprile, ci sarà quella contro il Primo maggio.

Ciò che varerà il governo è il già previsto taglio del cuneo fiscale, dopo l’approvazione del Documento di Economia e Finanza (Def) da parte delle Camere. Il provvedimento stanzierà 3,4 miliardi di euro aggiuntivi ai quasi 5 già stanziati dalla legge di bilancio varata a dicembre 2022. Insieme finanzieranno un taglio dei contributi dei dipendenti di 4 punti per chi ha un reddito fino a 25 mila euro annui. Di tre per quelli tra 25 e 35 mila euro. Fino alla fine del 2023. Ci saranno aumenti da 11 euro al mese per i redditi da 20 mila euro, 14 euro mensili per quelli da 25 mila euro, 16 euro e mezzo fino a 35 mila euro. Cifre irrilevanti mangiate dall’inflazione. La prossima legge di bilancio dovrà raschiare il fondo del barile per rifinanziare l’operazione. Il problema è stato evidenziato più volte dagli stessi sindacati che chiedono un taglio «strutturale» del cuneo, oltre che più sostanzioso. Tali ristrettezze sono il risultato di un’austerità di ritorno dopo la pandemia. Nessun governo ha voluto modificare strutturalmente, e in maniera progressiva, il sistema fiscale. Né ha tassato gli extraprofitti: la causa del boom dell’inflazione. Altro che «spirale prezzi-salari», il fantasma usato per imporre la «moderazione salariale». Il governo lo ha scritto nel Def.

Al taglio del cuneo fiscale potrebbero aggiungersi due provvedimenti più significativi a livello politico e sociale. Voci dal sen fuggite dal Palazzo dicono che il primo maggio potrebbe essere varato anche un «decreto lavoro» che conterrà l’annunciatissimo «taglio del reddito di cittadinanza», in realtà una sua ridefinizione nel sistema di Workfare creato da Lega e Cinque Stelle nel 2019. A questo potrebbe aggiungersi una precarizzazione dei contratti di lavoro a termine con il superamento del «Decreto dignità» che non ha rallentato il boom del lavoro a breve termine. Si darebbero briciole ai dipendenti e un segnale devastante ai precari, ai poveri e ai disoccupati . Contrapporre chi ha poco e chi non ha niente. In nome del «lavoro». Il senso del primo maggio sarebbe parassitato. E stravolto.

Il varo del provvedimento per rifare il «reddito di cittadinanza» era stato annunciato «per fine gennaio». Da allora il governo lo ha spostato verso l’estate quando presume che non ci saranno proteste. Distillare bozze sui giornali serve a produrre confusione, neutralizzare e stigmatizzare. Poi ci sono ragioni tecniche. I fondi stanziati del Pnrr sulle «politiche attive del lavoro» hanno bisogno degli «occupabili» ai quali Meloni & Co. vogliono dimezzare il sussidio, cioè il «metadone di Stato», così lo hanno definito in campagna elettorale.

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