Perché i biocarburanti sono insostenibili
False alternative L’Ue utilizza 50 mila km quadrati di terreni per produrli da mais, soia, colza e girasole
False alternative L’Ue utilizza 50 mila km quadrati di terreni per produrli da mais, soia, colza e girasole
Il ruolo che i biocarburanti possono avere nella transizione energetica è un tema sempre all’ordine del giorno. Ottenuti dalla trasformazione di sostanze organiche di origine vegetale e animale, i biocarburanti sono stati proposti al loro esordio come esempio di energia rinnovabile. Coltivare piante per alimentare i motori a combustione sembrava l’alternativa più praticabile rispetto ai combustibili fossili: canna da zucchero e mais trasformati in etanolo, le piante oleaginose (palma, colza, soia, girasole) in biodiesel.
GLI USA E IL BRASILE SONO STATI i primi paesi a produrli e sono tuttora i principali produttori, con 30 e 20 milioni di tonnellate annue. La coltivazione di piante per produrre combustibili richiede grandi superfici e negli ultimi dieci anni la corsa per l’acquisizione dei terreni da destinare alle coltivazioni energetiche ha interessato vaste aree in America latina, Africa, Cina, India, sud-est asiatico. Il tutto a scapito della vegetazione spontanea e delle foreste o sostituendo le tradizionali colture destinate alla produzione di cibo.
LA COMPETIZIONE dei biocarburanti di prima generazione con le coltivazioni alimentari è apparsa subito come l’elemento che mette in crisi tutto il sistema agricolo e va ad incidere sulla sicurezza alimentare. Si è arrivati a produrre a livello mondiale più di 100 milioni di tonnellate annue di biocarburanti liquidi. Quali sono i benefici reali dei biocarburanti rispetto ai combustibili fossili? In che misura partecipano alla decarbonizzazione?
LA PROPAGANDA sui biocarburanti prende come riferimento solo la fase della combustione per affermare che si tratta di prodotti più sostenibili per le basse emissioni. Tuttavia, se si considera tutto il ciclo produttivo e si analizzano i molteplici elementi che entrano in gioco (la distruzione di vegetazione spontanea, le materie che si consumano durante la produzione, l’energia necessaria a produrli, l’acqua impiegata, il trasporto, le trasformazioni chimico-fisiche per arrivare al combustibile, le emissioni prodotte nel corso della combustione), si arriva a concludere che le quantità di gas serra sono addirittura superiori a quelle dei combustibili fossili.
LE MONOCOLTURE ENERGETICHE hanno contribuito a creare un modello agricolo che ha prodotto devastazioni ambientali, perdita di biodiversità, distruzione delle comunità rurali, aumento dei prezzi dei prodotti agricoli destinati all’alimentazione umana, minore disponibilità di alimenti. In Europa è stato l’olio di palma il biocarburante più impiegato con una importazione media annua di 3,5 milioni di tonnellate. La nuova normativa europea, entrata faticosamente in vigore alla fine del 2022, ne vieta l’impiego come combustibile, spingendo le aziende verso altre fonti di approvvigionamento.
NELL’UNIONE EUROPEA si utilizzano 50 mila kmq di terreno coltivabile per produrre biocarburanti da mais, soia, colza, girasole, barbabietola da zucchero. Si ottiene una produzione limitata ma che sottrae alle produzioni alimentari un’area pari al doppio della Sicilia. Se l’Europa volesse sostituire solo il 5% dei carburanti fossili con i biocarburanti di prima generazione dovrebbe destinare alle colture energetiche il 20% della superficie coltivabile. Uno scenario improponibile che spinge a ricorre alle produzioni extra-Ue.
SONO CIRCA 15 MILIONI gli ettari di terreno coltivati nelle diverse aree del pianeta per produrre il bioetanolo e il biodiesel consumato in Europa. Il fallimento dei biocarburanti di prima generazione è ampiamente documentato, ma molti paesi continuano a puntare su di essi e a livello globale si prevede una ulteriore crescita. Sono ancora molto timide le misure che vengono varate per contenerne l’espansione.
SI COMPORTANO MEGLIO i biocarburanti di seconda generazione, considerati a bassa intensità di carbonio e basati sugli scarti di lavorazioni agricole, grassi animali e sul riciclo degli oli vegetali esausti. Ma ottenere biocarburanti partendo dagli scarti vegetali e animali è un processo complesso e dai costi elevati, con trasformazioni fisiche e chimiche che richiedono un notevole impiego di energia.
IN OGNI CASO, SI TRATTA di una quota ridotta e insufficiente a sostituire i biocarburanti di prima generazione. Ed è così che si è arrivati ad inserire tra le materie prime rinnovabili anche gli oli vegetali di colture non alimentari (ricino, croton, cotone). I biocarburanti avanzati sono quelli che provengono da rifiuti veri, scarti non utilizzabili in altro modo, con un sistema di certificazione per la tracciabilità. Invece si sta creando un mercato di false rinnovabili basate sulla coltivazione di specie vegetali oleaginose.
L’AFRICA SUB-SAHARIANA è al centro di numerosi progetti e investimenti da parte di società internazionali che mirano a introdurre o ampliare le produzioni energetiche, con la promessa di creare sviluppo e benessere a livello locale. Le nuove coltivazioni energetiche vengono presentate come progetti di recupero di aree marginali o di terreni degradati a causa dei fenomeni di desertificazione, erosione, siccità, inquinamento. Ma su questi territori, in molti casi, vivono piccole comunità che praticano una agricoltura di sussistenza e i terreni degradati, se venissero rigenerati, potrebbero produrre cibo per la popolazione locale piuttosto che biocarburanti per il mercato internazionale. Kenya, Congo, Angola, Mozambico, Benin, Ruanda, Costa d’Avorio, Sudan, Tanzania, Uganda sono i paesi maggiormente interessati, ma sono anche le aree dove è maggiore l’insicurezza alimentare.
LA RECENTE DECISIONE DELL’UE, che ha escluso a partire dal 2035 l’impiego dei biocarburanti nei motori termici, può frenare la corsa in atto. Secondo il report dell’Ifeu (Istituto per l’energia e la ricerca ambientale), i terreni che vengono attualmente utilizzati per produrre biocarburanti potrebbero sfamare 120 milioni di persone. Inoltre, se si ripristinassero gli ecosistemi naturali sulle aree occupate dalle piante energetiche, si avrebbe come risultato un assorbimento più che doppio della CO2 che si risparmia bruciando i biocarburanti al posto dei fossili. E ancora: se si convertisse al solare solo il 2,5% della superficie impiegata per coltivare biocarburanti, si potrebbe ottenere la stessa quantità di energia equivalente, riservando il resto del terreno alla produzione di cibo. Ancora una volta si dimostra l’insostenibilità delle coltivazioni energetiche, siano esse alimentari o non alimentari, e che non ci può essere un futuro per i biocarburanti.
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