Perché Allison perde e Josephine vince
Il vincolo della dedizione per accrescere di 12 euro un già di per sé inadeguato aumento allo stipendio dei docenti di scuola, segnala lo spirito del tempo di cui è […]
Il vincolo della dedizione per accrescere di 12 euro un già di per sé inadeguato aumento allo stipendio dei docenti di scuola, segnala lo spirito del tempo di cui è […]
Il vincolo della dedizione per accrescere di 12 euro un già di per sé inadeguato aumento allo stipendio dei docenti di scuola, segnala lo spirito del tempo di cui è interprete il governo. In un noto articolo del 2006 sull’Unità, Bruno Trentin aveva denunciato la natura autoritaria della premialità meritocratica, in quanto legata all’arbitrario giudizio del datore di lavoro spesso condizionato dalla condotta più o meno remissiva verso l’azienda e ingeneratore di disparità rispetto alla simmetria prodotta dai contratti: il merito, cioè, contro il diritto e anche contro la stessa competenza, dato che all’oggettività dei livelli stabiliti in base a determinate qualifiche, vengono sostituite valutazioni soggettive disegualizzanti. La premialità – aggiungiamo alle tesi di Trentin – introduce anche un clima competitivo che anziché spingere a migliori performance, in realtà peggiora il clima lavorativo e la sicurezza psichica, con conseguenze anche antieconomiche.
Ma oltre a ciò l’idea della dedizione rimanda ad un senso comune diffuso, secondo cui l’impiegato pubblico e il docente di scuola lavorano poco e male e che dunque non meritino cospicui aumenti di stipendio a pioggia. In realtà negli ultimi anni, con i processi di aziendalizzazione delle strutture pubbliche, anche i docenti di scuola sono caricati di svariati incarichi imposti dalla governance, che sostanzialmente riempiono i loro pomeriggi a fronte di stipendi rimasti fissati al fondo delle classifiche europee, rispetto a cui lo scatto-qualità di 12 euro assume una luce grottesca, soprattutto considerandone la qualificazione, non di rado arricchita da dottorati e pubblicazioni. Si tratta dei tanti soggetti, in ultima analisi, sempre più sfruttati dalla società di mercato.
Ma i media mainstream continuano a veicolare l’idea che i problemi economici e sociali dipendano da un eccesso di spesa pubblica e dall’insipienza e lassismo degli impiegati dello Stato. Non da un territorio desertificato dalle delocalizzazioni; non dalle rendite finanziarie che hanno sempre più moltiplicato la ricchezza di pochi, mentre veniva raccontata la favola delle maggiori opportunità per tutti (The wolf of Wall street); non da patrimoni privati, in Italia, più alti che ovunque o quasi, sempre più invulnerabili a meccanismi redistributivi (vedi l’ennesima prossima riduzione di aliquota con la legge di bilancio); non dalle stellari retribuzioni e dai superbonus dei grandi manager pubblici e privati, che han fatto decuplicare la distanza reddituale fra dirigenti e impiegati dagli anni Ottanta ad oggi.
La gioia degli avvocati per i premi ottenuti assistendo la Gkn per la sua chiusura e l’esubero di 430 operai, è lo specchio di una società fondata sull’impresa e non più sul lavoro, come vorrebbe la Costituzione. E nel post dello studio legale non si esaltava oltre al “lavoro di squadra” e alla “passione” proprio quella “dedizione” che si vorrebbe incentivare nei docenti e che non è deontologia bensì aziendalismo?
Ma la lotta di classe all’inverso che le élites economiche stanno da tempo vincendo contro il ceto medio, sempre più proletarizzato, si rivolge anche verso chi è ancora più debole. Il reddito di cittadinanza è ben lungi dal modello “universalistico”, eppure anche così esso è considerato un furto perpetrato a danno dei soggetti produttivi a vantaggio di quelli improduttivi. I fisiologici episodi di irregolarità nella percezione del reddito vengono continuamente enfatizzati per screditare l’istituto e, con esso, ogni velleità redistributiva.
È molto istruttivo in questo senso un romanzo di Johnatan Coe, Numero undici, il sequel del celebre La famiglia Whisham. Uno degli episodi più eclatanti del romanzo è quello in cui Josephine Whisham, la giovane rampolla di una schiatta di miliardari spietati, spregiudicati e al di sopra della legge, per far carriera decide di denunciare su un tabloid conservatore Allison Doubleday, lesbica, nera, invalida e figlia di una madre single in difficoltà economica (lo stereotipo inglese del “parassita” aiutato dal governo “progressista”).
Nonostante le condizioni di disagio, Allison era stata una studentessa seria e appassionata che aveva maturato anche una sensibilità e il talento di un’artista: ma avendo illegalmente assommato il sussidio governativo con le poche centinaia di euro ricavate dalla vendita dei suoi primi quadri, finiva arrestata dopo l’articolo di Josephine lanciata verso una folgorante carriera.
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