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Perché a Tripoli salta in aria l’ambasciata francese

Perché a Tripoli salta in aria l’ambasciata franceseLa scena dell'attentato di Tripoli – Reuters

Libia La doppia, devastante esplosione che ha ferito due gendarmi e raso al suolo la sede diplomatica sembrerebbe chiamare in causa i nostalgici di Gheddafi. Ma sono i salafiti ad avere buoni motivi per rivoltarsi contro i loro "liberatori"

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 24 aprile 2013

Le esplosioni davanti all’ambasciata francese nel quartieredi Hay al Andalus a Tripoli hanno causato il ferimento di due guardie della gendarmeria francese. Ma restano molte domande cui trovare risposta. Si tratta del primo attacco a un’istituzione europea perpetrato dopo la caduta del regime di Gheddafi nel 2011. Capire i motivi dell’attacco è di vitale importanza per comprendere il post-Gheddafi.

Chi sono i mandanti? A una prima analisi si potrebbe pensare a sostenitori del defunto leader libico. Nel 2011 il presidente francese Sarkozy era stato tra i primi leader europei ad interessarsi della vicenda libica: il primo a stipulare un’alleanza con le forze anti-Gheddafi e il primo a ordinare un bombardamento della Libia. Sarkozy favorì incontri tra i capi tribali antagonisti del regime e dopo la caduta del colonnello le bandiere francesi divennero una presenza comune nelle foto e nei filmati ritraenti gli abitanti di Tripoli e Bengasi. Nel 2012 la scritta «grazie Francia» campeggiava su un grosso cartello all’entrata dell’areoporto di Bengasi.

Alla luce di queste considerazioni, si potrebbe ipotizzare un movente nostalgico dietro l’attentato: sostenitori del Colonnello che attaccano un luogo simbolico. Una più attenta analisi però (che abbracci una visione più ampia e meno localista) sembrerebbe suggerire delle dinamiche diverse. I sostenitori di Gheddafi (se ancora ce ne sono) non sembrano essere una forza particolarmente attiva nella nuova Libia. I movimenti di ispirazione salafita, al contrario, figurano tra gli elementi più attivi del dopo-Gheddafi. Alla luce di una lettura storica (e geografica) l’ipotesi più realistica è che i mandanti dell’attacco all’ ambasciata siano da ricercarsi tra le loro fila.
Nei suoi quarant’anni al potere Gheddafi ha sempre manifestato un forte antagonismo verso le correnti più letteraliste dell’Islam. Gheddafi vedeva nei salafiti la longa manus dell’Arabia saudita, un vecchio nemico della Jamahiriya. Il Colonnello ha sempre attivamente represso questi movimenti, e nel 2009 Gheddafi si era persino dichiarato interessato ad unirsi alla War on Terror. Dopo la caduta del regime i salafiti sono stati liberi di operare dopo quattro decadi di esistenza sotterranea. Alcuni di questi movimenti si sono rivelati del tutto pacifici e intenzionati a far parte del dialogo politico per la costruzione di una nuova Libia. Altri, al contrario, sono subito diventati protagonisti di una serie di atti di violenza, soprattutto contro la minoranza sufi, considerata eretica.

Il nuovo governo libico formatosi dopo le elezioni dell‘estate del 2012 si è subito schierato contro gli episodi di violenza perpetrati dai salafiti. Ciò nonostante i gruppi di ispirazione salafita sono ancora una forza consistente in Libia. Ma perché attaccare l’ambasciata di un paese che ha contribuito alla loro “liberazione”? La risposta a questa domanda va cercata altrove. La scorsa settimana il gruppo al Qaeda nel Maghreb Islamico, una formazione salafita jihadista la cui influenza sta notevolmente crescendo in Nord Africa, ha minacciato rappresaglie contro i sostenitori all’attacco francese in Mali. La questione della presenza francese in Mali è controversa, ma si può ipotizzare un legame con l’attacco all’ambasciata francese in Libia.

La Libia del dopo-Gheddafi presenta uno scenario complesso, di difficile interpretazione. La presenza salafita, caratterizzata da connessioni transnazionali con paesi vicini come il Mali, rappresenta una componente importante di questo scenario. L’attentato all’ambasciata ha sì a che fare con le azioni della Francia in Nord Africa, ma non con quelle di Sarkozy in Libia.

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