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Per un’ecologia del corpo umano

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Arti orientali Intervista a Régis Soavi Sensei, maestro di Aikido che da oltre trent’anni fa conoscere il «Katsugen undo», pratica giapponese che ci fa ritrovare le capacità naturali

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 28 dicembre 2013

Oggi molte persone con idee politiche diverse o anche prive di una idea politica definita, si preoccupano di come i loro comportamenti individuali possono influire sull’ambiente: acquistare prodotti biologici e a”km-zero”, riciclare meglio i rifiuti, scegliere fornitori di servizi più rispettosi dell’ambiente, ridurre il consumo energetico, ecc.

A livello di dibattito politico comunque, la retorica ecologista funziona sempre, anche in tempo di crisi.

In ogni caso, l’attenzione collettiva verso le condizioni e la qualità della terra, dell’aria e dell’acqua, per diverse ragioni, che sia per senso di responsabilità o a volte, semplicemente per business, è alta. Ci si preoccupa delle sostanze con cui tutti gli esseri viventi entrano in contatto: piante, animali ed esseri umani, siano queste nutritive, medicinali o tossiche. Oltre agli esperti che siano ecologisti, naturalisti, veterinari, medici, molte sono le persone che si interrogano su come e in che misura tutto ciò abbia un impatto sul nostro corpo e le sue capacità di reazione e di adattabilità.

Ne parliamo con Régis Soavi, maestro di Aikido che, da oltre trenta anni, attraverso stage e conferenze fa conoscere il Katsugen Undo (una pratica messa a punto in Giappone da Haruchika Noguchi), continuando il lavoro del suo maestro Itsuo Tsuda che per primo lo aveva proposto in Europa a partire dagli anni 70.

 

 

D.: Lei insegna ormai da più di trent’anni Aikido e Katsugen undo e sicuramente il meno conosciuto è il secondo. Ci può dire in poche parole di che cosa si tratta? Che cos’è il Katsugen undo?

R.: È una maniera di ritrovare l’istinto naturale del corpo. È un esercizio, una ginnastica, dell’involontario che si fa per ritrovare le capacità naturali. Normalmente nessuno dovrebbe fare il Katsugen undo, nessuno, assolutamente nessuno. Ma siccome i corpi non funzionano più in modo normale, ora abbiamo bisogno di ritrovare le capacità che abbiamo perso. È per questo che il maestro Haruchika Noguchi ha messo a punto qualche esercizio che permette al sistema involontario di attivarsi ed agire di nuovo nei corpi, cosicché i corpi possano regolarsi da soli.

 

D.: C’è un rapporto tra il Katsugen undo e l’Aikido?

R.: Sono due vie diverse, ma si può dire che tutte le vie normalmente dovrebbero andare verso la stessa cosa. Non avrei mai potuto praticare l’Aikido come lo pratico adesso, se non avessi conosciuto e praticato il Katsugen undo. Praticare Katsugen undo significa lasciare il corpo lavorare attraverso il proprio involontario e così il corpo si normalizza e ritrova le capacità innate, fisiche e psichiche. Ho conosciuto queste due pratiche, Aikido e Katsugen undo, attraverso il mio Maestro Itsuo Tsuda ed è lui che ha fatto il legame tra queste due vie.

 

D.: Il maestro Itsuo Tsuda invece del termine Aikido usava l’espressione “Pratica respiratoria del maestro Ueshiba”. Perché questo nome?

R.: Soprattutto perché il termine Aikido è diventato un “marque déposée” e poi lui preferiva parlare di respirazione. L’Aikido adesso è soprattutto visto come un’arte di lotta o di difesa contro un avversario. Per il Maestro Tsuda la maniera di praticare l’Aikido, e quindi la maniera di oggi di parlare dell’Aikido, non è ciò che lui aveva sentito dal maestro Ueshiba. Aveva sentito qualcosa di molto diverso, più vicino alla respirazione, ovvero il movimento del ki. Per questo non voleva più usare il termine Aikido, preferiva parlare di respirazione. Parlava sempre di Ka e Mi, inspirazione ed espirazione, parlava di unione e di fusione più che di lotta l’uno contro l’altro o di difesa personale; è dunque per questo che il tipo di Aikido che faceva era molto diverso da tutto quello che avevo visto fino al momento in cui l’ho incontrato. All’epoca ero iscritto alle federazioni, in Francia. Ho conosciuto diversi maestri ed alcuni di quelli che ho incrociato, come ad esempio i Maestri Yamaguchi e Shirata, erano molto vicini a quello che faceva lui. Probabilmente ce ne sono altri che non conosco, che non ho mai incontrato. Ma le scuole di Aikido adesso sono sempre più delle scuole di arti di lotta marziale ed invece il Maestro Tsuda seguiva una via molto diversa.

Parlava spesso di come il Maestro Morihei Ueshiba faceva Misogi: penso quindi che sia per questo che lo chiamava “Arte della Respirazione” ed ha anche chiamato la propria scuola “Scuola della Respirazione”.

 

D.: Il suo Maestro, Itsuo Tsuda, parla di una filosofia pratica. Ci può spiegare cosa significa?

R.: In occidente le filosofie sono sempre delle cose pensate, uno pensa e scrive. “Io penso dunque sono”, questa è la filosofia. La filosofia di cui parla Itsuo Tsuda è basata veramente su di una pratica, su una pratica del vuoto mentale. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che sia piuttosto una non filosofia, ma non esiste una non filosofia. Il maestro Tsuda parla di cose pratiche, per lui non è più pensare, e poi fare. Non fare, non filosofare e non pensare non vuol dire essere decerebrato. C’è un’unione tra il pensiero e il fatto di fare, non c’è più separazione: è la stessa cosa, come nello Zen. Una filosofia pratica non è separata dal corpo, da tutto ciò che c’è intorno, non è una filosofia che si inventa. Non è una filosofia astratta, che raggiunge solo la testa.

 

D.: Quanto ha contato per lei il contatto diretto con il suo Maestro Itsuo Tsuda, che a sua volta è stato allievo diretto dei Maestri Morihei Ueshiba e Haruchika Noguchi?

R.: È stato essenziale. È l’essenza perché attraverso di lui, il mio Maestro Itsuo Tsuda, si potevano sentire H. Noguchi e M. Ueshiba. Si sentivano le cose nel non dire, nel non fare, nello sguardo, nei gesti. La presenza di un Maestro è importante fin nei suoi silenzi. Ciò che poteva insegnare, lui lo ha fatto, ma la cosa più importante era la sua presenza e quello che noi come allievi potevamo sentire attraverso ciò che emanava e che si trasmetteva tutto intorno a lui, qualcosa che si sentiva, che… si respirava.

 

D.: Il pensiero del Maestro Itsuo Tsuda è ampiamente espresso nei suoi 9 libri. Ce ne può consigliare uno in particolare?

R.: Si, tutti.

 

D.: Lei è stato l’ispiratore, il creatore della Scuola Itsuo Tsuda. Che cosa è esattamente questa Scuola?

R.: La Scuola Itsuo Tsuda è stata creata per far conoscere la filosofia pratica del Maestro Itsuo Tsuda e per permettere alle persone interessate da questa via di praticare l’Aikido e il Katsugen undo così come sono stati trasmessi dal Maestro Tsuda. Questa Scuola riunisce degli individui i quali, nella maggior parte dei casi, hanno creato delle associazioni indipendenti che hanno come sede dei dojo. Ad oggi ve ne sono a Roma, Milano, Ancona, Torino, Amsterdam, Parigi, Tolosa e Mas d’Azil (Francia). Queste associazioni collaborano a diversi progetti della Scuola Itsuo Tsuda, come organizzare stage, conferenze pubbliche, esposizioni, scrivere articoli o pubblicazioni, ecc. Il mio rapporto di insegnamento con alcune di queste associazioni dura da oltre 30 anni.

 

D.: La filosofia pratica di cui abbiamo parlato fino ad ora viene da maestri orientali, secondo lei c’è una possibilità per noi occidentali di comprendere qualcosa di così specifico che viene dall’oriente?

R.: Assolutamente! Gli esseri umani sono esseri umani che vengano dall’oriente o dall’occidente, dal sud o dal nord, sono sempre esseri umani. È vero che in occidente noi, nelle società iperindustrializzate, abbiamo perso qualcosa di primordiale, è per questo che ci giriamo verso l’oriente, c’è anche chi si gira verso il sud o verso il nord o verso gli Eschimesi, per ritrovare delle cose che comunque sono prima di tutto umane. Noi abbiamo trovato questa filosofia pratica: non è difficile da imparare, in realtà non c’è niente da imparare. Lasciare il corpo fare ciò di cui ha bisogno: è una pratica semplice, è di una semplicità straordinaria. Venite un po’ a provare durante uno dei nostri stage… Vedrete!

 

D.: È stato Tsuda che ha fatto per primo il passaggio tra oriente e occidente?

R.: Bodidarma si è girato verso l’oriente e Tsuda verso l’occidente: ha reso così possibile capire delle cose che all’inizio potevano sembrare esoteriche, lui le ha rese exoteriche. I libri di Itsuo Tsuda (si possono leggere anche a dieci anni) hanno diversi livelli di comprensione. La sua grande capacità è stata quella di rendere accessibili alla mentalità occidentale concetti facilmente comprensibili da un orientale, perché fanno parte della sua cultura, o almeno ne facevano parte prima dell’occidentalizzazione dell’oriente.

 

D.: Si sente parlare ogni giorno di ecologia, di stili di vita ecologici, di materiali ecocompatibili, di cibi naturali, di medicine naturali, di come e cosa dovremmo e potremmo fare per salvare il nostro pianeta. Lei ha parlato in una recente conferenza di ecologia del corpo umano. Che cosa intende?

R.: Prima vorrei definire di cosa si parla quando si parla di ecologia: per esempio quando si parla dell’agricoltura, si fanno pesanti interventi sulla terra per uccidere gli insetti. Ma rispettare la natura vuol dire non intervenire sulle manifestazioni naturali della terra: per esempio l’esperienza che Masanobu Fukuoka ha descritto in “La rivoluzione del filo di paglia” è interessante dal punto di vista dell’ecologia e per quanto riguarda il corpo è la stessa cosa: tutti oggi vogliono assolutamente intervenire sul corpo, su tutte le fasi, dall’inizio alla fine. Dall’inizio, quando l’essere umano nasce, fino a quando muore. Tra questi due momenti ci sono interventi di tutti i tipi che rendono le persone uniformi o che sopprimono tutte le risposte che dà il corpo. Un corpo sano è un corpo che reagisce. Un corpo sano non ha bisogno di niente di speciale per reagire alle malattie, o anche semplicemente per crescere, per invecchiare… per invecchiare normalmente. Dunque l’ecologia umana è rispettare il corpo del neonato, del bambino, dei giovani, dell’adulto, delle persone anziane, ed è lasciare la possibilità ai corpi di reagire. È questa l’ecologia umana. Adesso tutti i corpi sono completamente imbottiti di medicine. Vengono imbottiti con tante cose, non solamente medicine, ma anche cibo, che è pieno di sostanze chimiche. Dunque i corpi non hanno più niente di naturale. Ritrovare la natura del corpo vuol dire anche eliminare tutti i prodotti chimici, che sono inutili. Dunque quando io parlo di ecologia umana non voglio dire solo mangiare sano, ma anche ritrovare la capacità umana di sentire, di prendere le cose di cui si ha bisogno senza esagerazione e solo quelle cose di cui si ha bisogno. Così i corpi possono ritrovare la capacità di dare le risposte di cui hanno bisogno e di vivere normalmente.

 

D.: Il filosofo tedesco dello scorso secolo Hans Jonas scrive in Sull’orlo dell’abisso: “Siamo diventati più pericolosi per la natura di quanto la natura sia mai stata per noi”. Lei è d’accordo?

R.: In un certo senso sì, ma noi facciamo parte della natura, dunque non c’è una separazione. Su questo punto non sono d’accordo con l’interpretazione che si fa di ciò che ha scritto Jonas: detto così sembra che faccia una separazione tra l’uomo e la natura, ma l’essere umano fa parte della natura. Dunque è come se noi come natura lottassimo contro noi come esseri umani. Adesso effettivamente siamo più pericolosi, perché c’è una parte negativa della nostra natura che è diventata assolutamente pericolosa. Lui parla della natura come se fosse una parte esterna, ma non si può definire la cosa così, è una questione dialettica. L’essere umano è completamente nella natura, senza la natura non esisterebbe e la natura senza l’essere umano sarebbe qualcosa d’altro, qualcosa che noi non possiamo conoscere. Dunque se una parte della natura tra virgolette è stata pericolosa per noi, per esempio animali selvatici, piante velenose, ecc. … effettivamente adesso noi siamo più che pericolosi: distruggiamo la natura, distruggiamo tutto, persino l’essere umano. Forse la natura sopravviverà all’essere umano, io lo spero, altrimenti sarebbe terribile. Stiamo distruggendo più l’essere umano che la natura stessa. La natura comunque sopravviverà in un’altra maniera senza l’essere umano, senza animali, non so. Anche i dinosauri si sono estinti… e forse all’uomo accadrà la stessa cosa.

 

D.: Potremmo parlare di una cultura ecologica del corpo umano da trasmettere?

R.: Io non parlo di una cultura ecologica da trasmettere, ma di ritrovare le capacità naturali dell’essere umano, qualcosa che abbiamo dimenticato, qualcosa che non sentiamo più, ma che c’è ancora. Non è una cultura nuova, è qualcosa da ritrovare, è qualcosa che abbiamo dimenticato, è qualcosa che non conosciamo più. Il primo passo sarebbe già smettere di pensare troppo, e ritrovare le capacità naturali dell’essere umano.

 

D.: Ci sono momenti nella vita di ogni individuo che sono fondamentali per l’essere umano?

R.: Sì, la nascita. Quando uno nasce è fondamentale e poi quando uno muore, ma si può dire che quello che c’è tra questi due momenti non sia fondamentale? Io che sono tra i due penso che sia fondamentale. Un altro momento importante è quello della malattia.

 

D.: La malattia si può affrontare in modo “ecologico”?

R.: Deve fare questo tipo di domanda agli ecologisti. Io non sono un ecologista, dunque io non penso in termini di “affrontare la malattia”, forse gli ecologisti la affrontano e usano metodi dolci o altre cose, non so…

Quello che posso dire è che io non vado contro la malattia, non affronto la malattia. La malattia è una funzione naturale del corpo, soprattutto se si pensa alla malattia in termini di sintomi. La gente pensa alla malattia come qualcosa che va verso la morte, sempre. Io direi che non devo affrontare la malattia, io vivo la malattia, per me è una maniera di rigenerarsi, per trovare il modo di vivere ancora. E poi evidentemente c’è un momento in cui non si vive più. La malattia non è una cosa da affrontare o contro cui lottare, è qualcosa da attraversare.

 

 

BIOGRAFIA REGIS SOAVI
Durante la sua formazione da professionista nelle federazioni di Aikido, Régis Soavi  incontra il Maestro Itsuo Tsuda e segue il suo insegnamento per dieci anni. L’Aikido del M° Tsuda corrisponde molto di più a quello che cerca e si orienta definitivamente in questa direzione verso gli anni ’80.

Si dedica da più di trenta anni all’Aikido e al Katsugen Undo insegnando tutte le mattine al dojo Tenshin di Parigi. Conduce stage regolari nei dojo che sono riuniti nella Scuola Itsuo Tsuda, a Parigi, Tolosa, Milano, Roma, Amsterdam. Conferenziere durante gli stage, è chiamato anche in altre occasioni a tenere delle conferenze pubbliche.

 

BIOGRAFIA ITSUO TSUDA

Itsuo Tsuda, nato nel 1914, arriva in Francia nel 1934 e compie i suoi studi con Marcel Granet e Marcel Mauss fino al 1940, anno del suo ritorno in Giappone.

Dopo il 1950 si interessa agli aspetti culturali del Giappone, studia la recitazione del Nô con il M°Hosada, il Seitai con il M° Noguchi e l’Aikido con il M° Ueshiba.

Itsuo Tsuda torna in Europa nel 1970 per diffondere il Katsugen undo (movimento rigeneratore) e le sue idee sul Ki. La sua morte è avvenuta nel 1984, ma la filosofia pratica e l’insegnamento che ha trasmesso attraverso le sue opere e il suo lavoro continuano a vivere in Europa nei dojo della Scuola Itsuo Tsuda.

Libri: (Luni editrice)

Il non fare

Il dialogo del silenzio

Uno

Anche se non penso sono

La via della spoliazione

Il triangolo instabile

La scienza del particolare

La via degli Dei

Di fronte alla scienza

Cuore di cielo puro

 

 

 

www.scuolaitsuotsuda.org

 

 

 

 

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