Cultura

Per un’antropologia della cultura di destra

Per un’antropologia della cultura di destraMario Sironi, «L’Eclisse», 1942

Novecento Il nuovo saggio di Francesco Germinario per ombre corte. Nella critica agli intellettuali, a partire dal 1789, le radici di una Kulturkampf che continua anche oggi. Al centro dell’analisi, il nebuloso territorio che costituisce il luogo di incontro, e scontro, tra la concezione illuministica del sapere e la militanza reazionaria. Una costruzione ideologica che ha realizzato la propria sopravvivenza nel tempo trasformandosi da idea dell’autoconservazione dei pochi a richiamo per i tanti che si sentono smarriti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 9 agosto 2023

Senz’altro tra i maggiori conoscitori sia del pensiero come anche dell’antropologia culturale della destra radicale, in Italia al pari dell’Europa, Francesco Germinario, studioso di filosofia politica così come di storia contemporanea, ha al suo attivo una produzione bibliografica invidiabile. Non solo, si intende, per il numero di testi che ha licenziato nel tempo ma anche, e soprattutto, per la loro qualità. Fa specie che l’accademia italiana non abbia saputo raccogliere il lavoro certosino dello studioso. Tutto ciò, in fondo, non sorprende. Tuttavia, tanto per capirci, il punto non è questo, rimandando semmai alla qualità delle sue ricerche. Delle quali possiamo ancora parlare, peraltro, poiché l’autore ha dato recentemente alle stampe un altro libro, “Gente malfida”. La critica agli intellettuali nella cultura di destra (1789-1925), (ombre corte, pp. 127, euro 13) che, in qualche modo, raccoglie molte delle indicazioni già emerse nelle precedenti opere. Andiamo quindi per singoli passi, affinché ci si possa intendere sull’imprescindibilità della ricerca di Germinario. La quale va ben oltre il trascinarsi di una certa pedagogia antirazzista che, a conti fatti, ad oggi sconta molti dei suoi limiti oggettivi. I campi di applicazione dell’autore sono infatti molteplici. La loro delimitazione, tuttavia, è data dai mutevoli confini dettati dalla destra illiberale, reazionaria e antidemocratica in età contemporanea. A partire dal rigetto dei processi rivoluzionari.

DA QUESTO PUNTO di vista, le sue riflessioni (che comprendono la lunga traiettoria che, dall’Ottocento, ovvero dalla controrivoluzione francese, passando per il sindacalismo rivoluzionario, portano agli anni a noi più prossimi, e non solo ad essi) richiamano ripetutamente i costrutti ideologici che sorreggono l’antisemitismo moderno, le culture della destra eversiva (mai liquidate da Germinario con una loro facile banalizzazione), i quadri intellettuali che fanno da architrave di un pensiero al medesimo tempo reazionario (quindi regressivo) e sociale, cioè rivolto alle collettività nazionali in quanto tali. In questo complesso calderone ricadono, quanto meno per estensione, anche i figliocci dell’ultimo Movimento sociale italiano, ossia del partito legale del neofascismo peninsulare (così in Da Salò al governo. Immaginario e cultura politica della destra italiana, Bollati Boringhieri, 2005).

IL PUNTO DI SUTURA tra i diversi passaggi, nella ricerca dello studioso, è quel nebuloso territorio che costituisce il luogo di incontro, e scontro, tra intelligenza e azione. Ovvero, tra intellettualità intesa illuministicamente come professione di un esercizio tanto speculativo quanto emancipatorio (se non si pensa bene non si potrà agire altrettanto correttamente) e militanza reazionaria (l’aggregazione di individui convinti che la propria collocazione e sicurezza sociale riposi nel ritorno alle gerarchie dell’Ancien Régime). Non a caso, del suo percorso la destra non ha mai avversato gli «ordini», ossia le unioni ossidate di omologhi, di compartecipi, di sodali. Anzi, semmai di ciò si è fatta scudo per promuovere, dalla Rivoluzione francese in poi, la necessità di restaurare un sistema di relazioni naturali (ossia corrispondenti a quanto confusamente intendiamo con il nome di «natura», ovvero tutto ciò che non costituirebbe un prodotto sociale) che è solo la pietosa mimetizzazione delle diseguaglianze che gli uomini costruiscono nel tempo, per poi giustificarle secondo criteri metafisici. Quindi, consegnandole ad un’epoca senza storia.

CIÒ CHE EMERGE dalle ricerche di Germinario è soprattutto il riscontro che le destre illiberali, antidemocratiche, nativiste, suprematiste e restaurazioniste hanno, come comune denominatore, l’orrore per il riscontro che il transitare del tempo si dà, invece, non come scorrimento circolare bensì – soprattutto – in quanto processo di mutamento. Si tratta, in quest’ultimo caso, di una questione strategica: vogliamo credere nell’umanità come aggregato destinato a rimanere sempre uguale a sé, diviso in ceppi immodificabili, oppure – invece – nel suo essere prodotto di una serie di mutamenti che si verificano nel tempo? La polemica anti-intellettuale della destra radicale si inserisce, a pieno titolo, dentro questa logica di scorrimento delle passioni collettive. Intercettando malumori, angosce come anche vane speranze che nessuna illusione di «modernità» potrà mai risolvere in sé.

Poiché nei libri di Germinario ciò che ricorre non è solo la denuncia della polemica reazionaria contro lo spirito dei tempi correnti quanto l’analisi della sua capacità di attrarre, dare un senso ed organizzare, nel passato così come nel presente, il disagio dei molti. In questo quadro ermeneutico e cognitivo, incredibilmente complesso ,si inseriscono anche le molteplici riflessioni dell’autore sull’avversione contro il «fantasma» degli ebrei (ad esempio, Costruire la razza nemica. La formazione dell’immaginario antisemita tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, Utet, 2010, cosi come Antisemitismo. Un’ideologia del Novecento, Jaca Book, 2013, ed ancora L’antisemitismo come teoria politica rivoluzionaria, Edizioni Una città, 2020; Una cultura della catastrofe. Materiali per un’interpretazione dell’antisemitismo, Asterios, 2020; Dalla razza biologica alla razza culturale. L’antisemitismo contemporaneo, Asterios, 2020).

Poiché Germinario ci parla di «essenze», ossia di quelle finzioni per le quali molti credono che esista un qualcosa che, per il fatto stesso di essere nominato, assuma una fisionomia materiale, ancorché nel riscontro dei dati di fatto, del tutto fittizia. La fisionomia, per capirci, della minaccia. L’antisemitismo diventa allora un banco di prova di tutto quel che è inteso come disagio della modernità al pari di un propellente per la politica reazionaria (Fascismo e antisemitismo. Progetto razziale e ideologia totalitaria, Laterza, 2009 così come Argomenti per lo sterminio. L’antisemitismo e i suoi stereotipi nella cultura europea (1850-1920), Einaudi, 2011).

L’insieme del lavoro dello studioso, infatti, è un complesso impegno per restituirci l’intelaiatura di una storia culturale che non si risolva esclusivamente in quella dei cosiddetti «vincitori», tralasciando tuttavia le facile retoriche sui «vinti» (a tale riguardo si veda L’altra memoria. L’estrema destra, Salò e la Resistenza, Bollari Boringhieri, 1999). Aderendo agli scavi dello storico che è anche antropologo del pensiero, l’essere di destra, in questo caso, non coincide quindi in alcun modo con una postura occasionale bensì in un profondo, complesso ed articolato atteggiamento, di lungo periodo. Che, in quanto tale, risponde agli stravolgimenti dell’età industriale.

Per non scomparire dall’orizzonte, la destra ha dovuto trovare un terreno di mediazione, che gli garantisse la sopravvivenza nel tempo trasformandosi da pensiero di autoconservazione dei pochi a richiamo per i tanti smarriti. Lo ha trovato in un impianto mitografico che, alcuni decenni fa, poteva ancora sembrare residuale mentre oggi, in quanto terreno di coltura della rivincita, fatto proprio da una società delusa e disposta in senso illiberale, reazionario e quindi populista, risulta invece elettoralmente premiante (Tradizione, Mito, Storia. La cultura politica della destra radicale e i suoi teorici, Carocci, 2014).

LA POLEMICA contro gli intellettuali alla quale fa riferimento il suo ultimo volume, si inscrive in questa agenda, non solo politica ma soprattutto culturale. Come tale, l’avvertenza di Germinario è quella che ci ammonisce sul fatto che si debba avere consapevolezza del fatto che tutta la destra radicale, da circa duecento anni almeno, stia portando avanti un Kulturkampf complesso. Come tale, da prendersi sul serio, in quanto sfida per nulla occasionale. Non solo politica bensì intellettuale se non addirittura cognitiva. Tale in quanto chiama in causa le categorie con le quali si interpreta il tempo corrente. Poiché sposta l’asse della discussione collettiva dal governo del mutamento (quindi dall’intervento nei processi di accumulazione delle ricchezze, così come in quelli che rimandano alla loro redistribuzione sociale) alla lotta senza quartiere tra entità statiche, le «razze», che risolvono una volta per sempre il conflitto tra capitale e lavoro in una guerra etno-nazionalista. La tentazione persistente è ancora una volta quella di intendere le destre radicali come una sorta di residuo del passato. Non è così. Semmai sono residuali quanti ragionano in tali termini.

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