Europa

Per una rete di città solidali

L'appello Di fronte alla barbarie del terrorismo che colpisce inermi, alla scomposta reazione dell’Europa che blinda ancor di più le frontiere, contraddicendo gli stessi principi che erano alla base del suo […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 16 aprile 2016

Di fronte alla barbarie del terrorismo che colpisce inermi, alla scomposta reazione dell’Europa che blinda ancor di più le frontiere, contraddicendo gli stessi principi che erano alla base del suo progetto originario, di fronte alla sofferenza di migliaia e migliaia di profughi che cercano rifugio e protezione, ci sentiamo chiamati ad agire.

Agire con determinazione per chiedere giustizia per le violazioni dei diritti e della dignità di uomini e donne, anziani e bambini, rimasti ostaggio di logiche geopolitiche e di convenienza. Merce di scambio tra paesi, numeri e cifre di una contabilità che li trasforma in voci di bilancio. L’accordo scellerato tra Unione europea e Turchia si aggiunge ad una sequela di passi intrapresi al solo scopo di blindare le frontiere, cingere l’Europa di muri e fili spinati, violando o contraddicendo il diritto internazionale ed il diritto umanitario. Da Frontex agli accordi di riammissione, ai processi di Rabat (2006) e di Khartoum (2014), agli accordi di Malta del novembre scorso all’obbrobrio giuridico degli hotspot.

Lo faremo, con i tempi di cui ci sarà bisogno per costruire un processo largo e partecipato che veda i migranti ed i rifugiati come attori principali. Continueremo a lavorare per un tribunale internazionale di opinione che dia loro strumenti e piattaforme per rivendicare la propria dignità ed i propri diritti. Indagheremo le modalità ed i canali legali esistenti. Faremo tutto questo, ma oggi non basta.

C’è chi decide di disobbedire, in nome del valore più alto della dignità umana, chi aiuta i profughi a varcare reti e frontiere, chi lo ha fatto in Austria e Germania, chi lo fa quotidianamente fornendo aiuto, supporto, ospitalità.
Accanto alla richiesta di giustizia oggi siamo chiamati a provare ad assicurare un livello di dignità e la sopravvivenza stessa di migliaia e migliaia di esseri umani.

Nel caso dei migranti o rifugiati che transitano per le nostre città, non basta chiudere un occhio di fronte al loro passaggio o addirittura assecondarlo più o meno ufficialmente con l’allestimento di centri di accoglienza gestiti più o meno direttamente dal Comune; serve che chi amministra una città si arroghi il diritto di contestare l’attuale normativa che regola il diritto d’asilo riducendo i «transitanti» ad una condizione di «clandestinità» e sottoponendo l’Italia ai rimproveri dell’Europa. Le città italiane, tutte «attraversate» in qualche modo da questo fenomeno, possono e devono inserire la propria voce nell’attuale discussione che sta dividendo il vecchio continente sulle politiche d’asilo. Dicendo forte e chiaro che comprendono le ragioni di chi sfugge all’identificazione per non finire in un centro di detenzione come il Cara di Mineo. Ribadendo che il Regolamento di Dublino, che fissa la domanda d’asilo nel primo Paese d’approdo, deve essere sostituito da un accordo che consenta ai profughi di raggiungere la meta per cui hanno intrapreso un viaggio così pericoloso. E insistendo sul fatto che qualsiasi «quota» di accoglienza attribuita ai diversi Paesi dell’Europa debba tener conto, in primis, del fattore umano rappresentato dai bisogni e dalle aspettative di chi cerca un rifugio.

Nei giorni in cui l’odio rischia di dettare la legge, e la discriminazione su base religiosa ed etnica può diventare la norma, c’è urgente bisogno di azioni concrete di giustizia, di solidarietà, di dignità.

Sarà quindi doveroso operare per assicurare protezione e tutela, vigilare sul modo in cui sono trattati, lavorare per promuovere dignità e umanità e possibilità di integrazione, a partire dalla disponibilità dei servizi pubblici, costruire la cultura e gli strumenti per l’accoglienza, attraverso la partecipazione attiva dei migranti e rifugiati alla vita della città e ai suoi bisogni, combattendo, con tutti gli strumenti a disposizione, culturali, amministrativi e finanziari, la contrapposizione tra quanti e quante sono in condizione di bisogno.

Pensiamo che i sindaci possano agevolare questo cambio di passo, impegnandosi a mettere in rete buone pratiche, realtà che cercano di costruire ponti, chi si sforza di dare protagonismo ai rifugiati, affinché loro stessi possano decidere come proteggere sé stessi, secondo quali bisogni e progettualità.

Per questo oggi ci rivolgiamo ai sindaci d’Italia, a quelli che già praticano accoglienza, e a quelli che si candidano a governare grandi città come Roma, Milano, Napoli, Torino, o numerose altre città di media grandezza ma di importante rilievo nelle realtà regionali e locali, affinché uniscano la loro voce e le loro azioni a quelle dei sindaci di Barcellona, Lesbo, Lampedusa. Città coraggiose, che aprono le loro porte, comunità che vivono quotidianamente la sfida di accogliere, aiutare e assicurare un minimo di decenza nelle condizioni di vita materiali di migliaia di disperati.

Rafforziamo una rete di città aperte e solidali, per ricostruire le ragioni di un’Europa che sentiamo sempre più lontana, e rimettere al centro la dignità ed i diritti delle persone, di qualsiasi razza, religione o nazionalità esse siano.Restiamo umani.

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Arturo Salerni, Enrico Calamai ( Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos), Carlo Lariccia, Chiara Ingrao, Marc René de Montalembert, Gianni Ferrara, Bruno Antonio Bellerate, Gabrielle Guido (LasciateCIEntrare), Gabriele Noferi, Mirella Forte, Rossana Ferrante, Ippolita Gaetani, Andrea Meloni, Moreno Biagioni (Rete Antirazzista Fiorentina), Sandra Carpi Lapi (Comitato Fiorentino Fermiamo la Guerra) Chiara Giunti, Francesca Moccagatta, Sancia Gaetani, Stefano Arrighetti (Istituto Ernesto de Martino), Agenzia Habeshia.

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