Per una nuova ecologica degli spazi del tempo libero
Scaffale Esce oggi per Altreconomia «Turismo insostenibile» di Alex Giuzio
Scaffale Esce oggi per Altreconomia «Turismo insostenibile» di Alex Giuzio
Alla firma di Alex Giuzio i lettori del manifesto associano analisi e cronache relative alle dinamiche economiche e sociali legate al turismo. I suoi articoli, spesso, riportano il luogo dove vengono scritti, «Cervia», una cittadina della costa romagnola, in provincia di Ravenna: Alex è nato lì, in una famiglia di albergatori nella vicina Milano Marittima, cosa che gli ha garantito il «privilegio, causale ma non scontato» di conoscere il turismo da dentro e da vicino fin da piccolo, vivendo da sempre (è nato nel 1990) il problema legato agli «eccessi del turismo», che in Romagna è un dato strutturale ma che in Italia è dibattuto solo da pochi anni.
LE ANALISI di Giuzio sono ora raccolte in Turismo insostenibile (da oggi in libreria per Altreconomia, pp. 184, euro 16). Il sottotitolo, «per una nuova ecologica degli spazi del tempo libero», indica qual è il punto di vista dell’autore, che richiama la critica profonda che evidenziava già sessant’anni fa Hans Magnus Enzensberger in Una teoria del turismo (Feltrinelli 1965): «Il desiderio nostalgico di liberarsi dalla società andandosene lontano è stato ridisciplinato secondo le regole di quella società da cui si fuggiva. La liberazione dal mondo dell’industria si è stabilita essa stessa come industria; il viaggio dal mondo delle merci è diventato una merce».
Tutto ciò, in tempi recenti, è stato amplificato dalla facilità di spostamento, una presunta libertà che riguarda ancora un numero limitato di privilegiati, in larga parte nei Paesi ricchi. Ci scontriamo, in pratica, con l’idea che esista un presunto diritto alle vacanze ovunque (in corsivo nel testo), illimitabile: i dati della World Tourism Organization evidenziano che da quando il mondo ha iniziato ad occuparsi di cambiamenti climatici (nei primi anni ’90) il numero di viaggiatori internazionali è più che triplicato, arrivando a 1,4 miliardi. Un dato impressionante, che evidenzia come il turismo sembri vivere in un altro mondo, senza porsi limiti di crescita. Invece, scrive Giuzio, «in tempi di crisi climatica, il turismo globale è una delle pratiche destinate a finire. l’umanità non può più consumare il mondo come sta facendo dalla prima rivoluzione industriale».
L’affermazione assume un punto di vista molto radicale, quasi imposto dalla complessità della questione climatica: «“Fine del turismo” non significa proibire o interrompere le vacanze, bensì frenare e ridimensionare un sistema che ha raggiunto degli eccessi inaccettabili, tanto che la stessa parola “turismo” ha assunto un’accezione negativa» scrive Giuzio.
Ecco spiegato il titolo del libro, che non vuole attaccare il turismo responsabile e i soggetti che lo rappresentano e promuovono, ma sottolinea l’esigenza di affrontare in modo politico la questione: «Il turismo può iniziare a essere etico in termini ambientali, sociali ed economici, non solo a livello individuale, ma soprattutto collettivo. Per farlo occorre una regia europea che consideri il turismo come un problema ecologico, alla pari dell’estrazione delle fonti fossili» scrive Giuzio. E ancora: «Per cambiare l’attuale modello turistico e in generale interrompere le emissioni climalteranti, le scelte personali non bastano».
LA QUESTIONE È POLITICA. Per affrontare il problema dell’eccesso di turismo, serve pianificazione, perché anche chi si muove col treno o con l’auto elettrica per raggiungere una meta di vacanza non è esente da responsabilità, perché nelle località a elevata vocazione turistica, con grandi quantità di persone che fruiscono di risorse naturali come spiagge e montagne, il turismo genera problemi ambientali come la cementificazione, la distruzione della biodiversità, i rifiuti, la subsidenza, l’erosione. Non c’è altra strada, scrive Giuzio, che limitare il turismo per preservare i beni comuni che alimentano il turismo stesso. In Italia, ad oggi, il 70% dei turisti stranieri si riversa nell’1% del territorio e il 10% dei siti culturali attira il 50% dei visitatori: com’è possibile continuare così? Il fallimento, quindi, è quello del modello neoliberista applicato al turismo. Il mercato non è in grado di auto-regolarsi ma si sta auto-fagocitando.
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