Luciana Castellina: l movimento cooperativo è il primo e più antico pezzo dei movimento operaio europeo e italiano. Uno, dunque, dei suoi principali protagonisti. Qualcuno, a volte, lo ha definito «il sindacato delle imprese». I fondatori, che si sono pensati come movimento, di questa sarcastica definizione che ogni tanto vi è stata affibbiata, si sarebbero indignati; e, immagino, anche i dirigenti attuali della Lega. E però che questa frase abbia potuto esser pronunciata qualcosa vuol dire. Quanta consapevolezza c’è, nello stesso mondo della cooperazione, del ruolo storico della propria organizzazione?

Oggi siamo in un tempo molto speciale, alle prese con una crisi epocale che investe e chiede di cambiare l’intero nostro modo di lavorare, produrre, consumare; la Legacoop, e le sue tante branche, avverte la sua responsabilità nella sfida che ci è imposta? Ho letto uno scritto del vostro «storico» presidente Ivano Barberini: «Il futuro delle cooperative dipende soprattutto – dice – da una cultura diversa da quella dominante». E, aggiunge, a chiarire cosa vuol dire «diverso»: «una idea di mercato che includa solidarietà e sviluppo sostenibile, non solo la logica del profitto». Siete pronti in questo momento così drammatico a rilanciare questo monito?

Mauro Lusetti: Il nostro movimento è certamente molto antico, nacque in Inghilterra e la sua prima forma organizzata passò alla storia con un nome significativo: Cooperativa dei Probi Pionieri di Rochdale. In Italia la prima cooperativa nacque a Torino nel 1854. Ma è 32 anni dopo, nel 1886,che prende sede a Milano la prima rappresentanza del movimento cooperativo, significativamente, nello stesso edificio, il Consolato Generale del Lavoro in Via Crocifisso 15, dove venti anni dopo si insediò la neonata Cgil.

In pratica, coinquilini. Oggi quell’edificio non esiste più e al suo posto vi è una scuola con una targa che ricorda quegli eventi storici
Come vedi siamo nati prima del sindacato e prima dei partiti del movimento operaio. Proprio perché la cooperazione è stata la prima forma organizzata che ha intercettato e poi risposto, in forma mutualistica, ai bisogni della classe: degli operai che venivano licenziati, che si ammalavano, che avevano bisogno di casa o semplicemente di comprare cibo al giusto prezzo…

Sin dall’inizio siamo stati un connubio di risposte a bisogni singoli e di attenzione alle esigenze della comunità essendo “Padroni di noi stessi”, tuttora il modo per rispondere al bisogno di lavoro, di emancipazione sociale e di salvaguardia dei diritti. All’inizio eravamo “Federazione” poi ci siamo trasformati in “Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue”.

Abbiamo vissuto 135 anni non facili, quando arriva il fascismo anche le nostre sedi vengono assaltate, i nostri soci picchiati e anche ammazzati. Alla fine della seconda guerra mondiale l’Assemblea Costituente ha voluto riconoscerci un valore che non ha pari altrove nel mondo: un intero articolo della carta costitutiva, l’articolo 45, è a noi dedicato e richiama il valore sociale della cooperazione e la necessità di sostenerla e svilupparla in tutte le sue potenzialità. So bene che la nostra storia è motivo di orgoglio ma ci consegna anche una grande responsabilità, cui non sempre siamo stati capaci di essere all’altezza.

Sempre Barberini scriveva “Eleggete i migliori e controllateli come se fossero i peggiori”. Modalità che presuppone una selezione dei gruppi dirigenti, strumenti di controllo e percorsi partecipativi dei soci. Con queste impostazioni abbiamo attraversato, dal dopoguerra ad oggi, la vita economica e sociale del paese facendo dei nostri principi un elemento distintivo per rispondere sempre allo scambio mutualistico per il quale i soci danno vita alle cooperative. Quando abbiamo perso di vista questo scopo e abbiamo inseguito modelli organizzativi e di impresa scimmiottando le imprese private abbiamo fatto danni e causato fallimenti di imprese dalla vita centenaria come nel settore edilizio. Fra i ’70 e i ’90 il settore cooperativo edilizio ha avuto un’enorme evoluzione. Pensa che fra le prima 10 imprese italiane, 5 erano cooperative. Oggi ce ne è solo una fra le prime 20. La crisi del 2014/15 è stata per il settore dolorosissimo.

Noi nasciamo per rispondere ai bisogni dei soci con l’obbiettivo di cambiare le regole del mercato non di omologarci ad esse. Oggi, in questa epoca segnata dalla pandemia, il mondo intero ha compreso la necessità di cambiare paradigma e di pensare ad una economia sostenibile e si sta spostando sulla nostra “piastrella valoriale”.

Il passaggio di testimone tra una generazione di cooperatori ed un’altra allunga la vita media di una coop che è di almeno 40 anni, dieci volte di più di una altra qualsiasi forma di impresa. Oggi tutti si dichiarano sostenibili e per far valere la nostra naturale specificità dobbiamo recuperare una radicalità indispensabile a tener vivi i nostri principi. E’ così che dobbiamo concepire la competitività con i privati, non scendendo sul loro stesso terreno.

Hai detto tempo lungo. Questo è proprio l’essenziale per affrontare l’emergenza di oggi. Che ci impone per prima cosa di pensare, ogni volta che si investe in qualcosa, a cosa produrrà, per l’appunto nel tempo lungo. E’ il nocciolo della questione ambientale e dunque la premessa per avviare una transizione seria.

Luciana Castellina: Per questo abbiamo bisogno delle cooperative, per questo sono venuta a chiederti cosa può fare la Lega per aiutare il movimento ecologista: perché voi siete un soggetto collettivo. E però non siete lo stato, cui invece si pensa automaticamente quando si immagina un intervento non privato. Nell’immediato dopo guerra l’intervento statale ha giocato un ruolo positivo, anzi direi essenziale, nel riavviare l’economia del nostro paese. Mi riferisco innanzitutto al ruolo avuto dalla rinnovata Iri e a quello della appena costituita Eni. Poi sappiamo come è andata: privatizzazioni, totali o parziali (le «partecipate»), corruzione, o almeno clientelismo politico. Dire «intervento, o azienda, statale» oggi è diventata una bestemmia e non senza ragione.

Del resto anche l’esperienza dei paesi c.d. socialisti ha dimostrato i guasti che può produrre la statalizzazione dell’economia. Lenin l’aveva scelta come misura transitoria, per il primo difficile tempo della rivoluzione, per il dopo aveva pensato – questo è quanto scrive in «Stato e Rivoluzione» – a una gestione affidata ai «soviet», che vuol dire «consigli», la stessa parola che usa Gramsci e anche Rosa Luxemburg, immaginando organismi stabili che nascono dal consolidamento dei movimenti, aggregazioni della società civile che si impegna a gestire pezzi di società, sottraendoli alla burocrazia statale. Con lo stato, le sue varie istituzioni, i partiti stessi, solo un rapporto dialettico che ne avrebbe dovuto ridurre l’autoreferenzialismo, la pretesa del monopolio delle scelte.

Non ti stupire perché ti vengo a parlare di Lenin, Gramsci o Rosa in questo frangente, ma è perché le cooperative dovrebbero/potrebbero, in parte lo sono state, rappresentare con più evidenza una forma di «pubblico» non «statale». E oggi potrebbero avere un ruolo essenziale intercettando il bisogno più urgente: aiutare a salvarci dal disastro ecologico – e sociale – che incombe.

Di questo i più giovani parlano molto, cioè di un movimento per «i beni comuni», che è presente in tutto il mondo, e in Italia è stato animatore della battaglia contro la privatizzazione dell’acqua. Vogliamo provare a pensarci insieme, movimenti e cooperative, magari cominciando con un approfondimento più teorico, che potrebbe promuovere la vostra Fondazione Barberini?

Mauro Lusetti: La Fondazione Ivano Barberini la stiamo unificando con il centro che custodisce I’archivio storico del nostro movimento proprio per ridare slancio ad una elaborazione culturale oggi sempre più necessaria a tutti. L’intenzione è di aprirci sempre di più a un confronto con il mondo della cultura, con le facoltà universitarie e con i movimenti per ridare slancio e visibilità al mondo dell’economia sociale di cui la cooperazione è tanta parte.

Abbiamo bisogno di immaginare percorsi che uniscano su progetti di cambiamento e trasformazione tutte quelle organizzazioni che si riconoscono in una idea di società sostenibile dal punto di vista economico e sociale. Quindi non posso che condividere la tua proposta. Pensiamoci concretamente, da subito.

Luciana Castellina: Cosi come potremmo pensare a molte altre iniziative per le quali l’esperienza delle coop potrebbe essere essenziale. Penso alle Comunità energetiche, in Italia solo un terzo di quelle create in Germania e che hanno già dato non solo energia pulita ma quasi un milione di nuovi posti di lavoro. Ma anche a quanto occorre fare se si vuole prendere sul serio l’Economia circolare, indicazione che tutti esaltano e però non si fa niente per renderla possibile. Prevede manutenzione anziché ulteriore produzione, oggi già programmata per durare poco, sì da indurre i! consumatore a ricomprare anziché a riparare (Avete presente al tecnico della ditta da cui avete comprato il lavastoviglie che ora si è rotto? “Dia retta a me signora, ne ricompri una nuova, le costa meno; e del resto non ci sono i pezzi di ricambio”).

Se si vuole interrompere questo spreco micidiale c’è bisogno di rianimare l’artigianato, la piccola squadra che si propone di produrre pezzi di ricambio oggi introvabili, bisogna allestire corsi di formazione di nuovo tipo, non per bloccare le nuove tecnologie ma per adeguarle ai nuovi bisogni. Di molti nuovi mestieri, e di aziende quasi artigianali, c’è bisogno anche per la rigenerazione urbana e il risparmio energetico. So che avete fatto già molto in questo campo, penso per esempio a “E’ nostra”, la comunità energetica milanese diventata un modello. E però non avete fatto una campagna politica.

Mauro Lusetti: Non è del tutto vero. Sui temi dello sviluppo di nuova cooperazione abbiamo storicamente sempre operato con grande determinazione.
La cooperazione storica era quella di consumo e bracciantile, poi, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, la forma cooperativa si è affermata nel mondo degli agricoltori e dei commercianti, negli anni 70 in quello delle professioni, ingegneri architetti medici e nel 1991, con la legge 381, è nata la cooperazione sociale.

Oggi la nuova cooperazione si sviluppa nelle nuove fratture sociali per svolgere il proprio ruolo di ricucitura e di salvaguardia dei diritti delle persone. Lo fa gestendo beni confiscati alla mafia, recuperando imprese private fallite tramite il modello dei Workers buyout, lo fa promuovendo cooperative di comunità nei luoghi dell’entroterra o nei grandi quartieri periferici delle città.

Le comunità energetiche sono un fenomeno a cui guardiamo con estrema attenzione. Oltre a perseguire uno dei principi di sostenibilità più evidenti, possono rappresentare una scelta per consolidare e dare nuovo slancio alla idea stessa di cooperativa di comunità.

Luciana Castellina: Vedo con gioia che anche la Legacoop, come anche molti pezzi di Cgil, si orienta sempre più sulla dimensione territoriale. Penso al sindacato di strada proposto da Landini, alla associazione che si occupano dell’abitare creata dal sindacato edili e da quello pensionati. Un significativo terreno per costruire nuovi organismi collettivi, composti di soggetti sociali differenti, ma potenzialmente impegnati sullo stesso fronte.

Mauro Lusetti: Unirsi è un imperativo e noi cooperatori lo stiamo facendo con il progetto dell’Alleanza Cooperative Italiane, con l’obiettivo strategico di riunire tutte le cooperative in un’unica organizzazione di rappresentanza come lo era alle origini. Uniti abbiamo sconfitto il fenomeno delle “false cooperative”; uniti abbiamo contrastato I’idea della accoglienza dei migranti come semplice “vitto e alloggio”, lontano da una seria politica di integrazione; uniti abbiamo interloquito con le istituzioni sulla base della nostra visione del futuro proponendo idee e progetti e non solo rivendicando. Ma l’unità della cooperazione non basta se non viene usata anche per allargare il campo delle alleanze. Noi crediamo che sia importante “fare rete”, intrecciare le forze con soggetti sociali diversi ma con i quali si hanno interessi convergenti, in particolare nel misurarsi con la complessità della transizione ecologica e digitale della nostra società.

E questo è importante oggi più che mai, perché ormai, dagli anni della caduta del muro e dei partiti storici abbiamo intrapreso un percorso di autonomia che può rischiare di isolarci. Negli anni, questo percorso ci ha portato spesso ad interpretare la nostra funzione a volte come sindacato di imprese (modello Confindustria) e a volte come movimento di persone (modello Cgil). Sia l’una che l’altra sono semplificazioni quantomeno inadeguate. Noi siamo un movimento di uomini e donne che si organizzano in cooperative pere dare risposta a bisogni collettivi.

Luciana Castellina: Ti faccio una proposta: perché non mettete a punto un progetto complessivo per la transizione, se possibile con un riferimento al Recovery Fund, e non chiamate tutte le forze ambientaliste a discuterne e ad avviare una esplicita collaborazione? Un evento pubblico, perché a noi serve rendere visibile l’appoggio alle nostre battaglie di un organismo così importante come la Lega delle cooperative. E a voi serve tornare in contatto con i movimenti. Ci proviamo?

Mauro Lusetti: Siamo contenti di confrontarci con chi persegue i nostri stessi obbiettivi, conoscere i loro progetti e fargli vedere il nostro riassunto in un documento dal titolo “Cambiare l’talia cooperando”. Viviamo in un momento straordinario dove tutto sembra essere in movimento e poter cambiare. Non è per nulla scontato che cambi in meglio e le organizzazioni che si battono per una economia sostenibile dal punto di vista economico e sociale hanno il dovere di dialogare e di condividere battaglie comuni e di presentarsi unite a questo appuntamento così importante del nostro paese.

Possiamo, certo, fare di più, ma su molte delle cose che dici siamo già impegnati. Forse le abbiamo segnalate poco. Abbiamo aderito con convinzione ad associazioni come Asvis e Symbola e con Legambiente abbiamo sottoscritto protocolli per lo sviluppo delle cooperative di comunità e per altri progetti comuni di economia sostenibile. Sono passi concreti, ai quali credo ne seguiranno altri, su quel percorso di alleanze di cui ho parlato, che resta centrale per la nostra ambizione di costruire, nel nostro Paese, un nuovo modello di sviluppo più inclusivo e sostenibile sotto il profilo ambientale, economico e sociale.