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Per Silvio niente sconti dalla Consulta

Per Silvio niente sconti dalla Consulta – Reuters

Pdl La Corte costituzionale boccia il ricorso sul legittimo impedimento. La partita dell’interdizione dai pubblici uffici ora passa alla Cassazione. E dal 9 luglio il senato decide sull’ineleggibilità

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 giugno 2013

Già definitiva nel merito, la condanna a quattro anni di reclusione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici di Silvio Berlusconi, ritenuto responsabile di frode fiscale nell’acquisto dei diritti tv Mediaset in quanto dominus dell’azienda anche dalla posizione di presidente del consiglio, può diventare definitiva anche in diritto alla fine della prossima primavera, quando toccherà alla Cassazione pronunciarsi.
Gli avvocati del Cavaliere hanno presentato ricorso alla suprema Corte proprio ieri, nel giorno in cui la Consulta respingendo il conflitto di attribuzione sollevato dall’ex presidente del Consiglio ha «salvato» gli ultimi tre anni di processo e confermato per Berlusconi lo spettro dell’espulsione dal parlamento.

I giudici della Consulta hanno concluso che «spettava all’autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto» alla partecipazione in udienza del presidente del consiglio «una riunione del consiglio da lui stesso convocata per un giorno che aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all’udienza». In pratica e secondo buonsenso nessuno, nemmeno il capo del governo, può indicare al tribunale una data in cui gradisce essere processato e poi farla saltare fissando un altro impegno in quella stessa data senza spiegare perché e per come.

Ricordano infatti i giudici costituzionali che «per più volte il tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento». E dunque è stato Berlusconi a non rispettare quel principio di «leale collaborazione» tra istituzioni che proprio la Consulta ha indicato come il metro con cui la legittimità dell’impedimento dev’essere misurata dal giudice.

Proprio la Corte costituzionale, infatti, aveva cancellato per metà la legge sul «legittimo impedimento», il terzo tentativo – dopo i lodi Schifani e Alfano – del centrodestra di immunizzare il Cavaliere dai processi. Il «legittimo impedimento», nato da un’idea di «pacificazione» dell’attuale presidente del Csm Vietti in parallelo con le udienze del processo Mediaset, fu salvato dai giudici costituzionali nel gennaio 2011 nella forma – tanto che Berlusconi parlò di «compromesso accettabile» – ma fu riscritta nel modo che ha consentito ieri di proteggere il processo Mediaset dai capricci dell’imputato. Che così rischia di vedersi confermare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici – tra i quali innanzitutto il mandato elettorale – proprio tra aprile e giugno 2014, quando altrimenti il reato del processo Mediaset sarebbe finito in prescrizione.

La Consulta in pratica non gli ha fatto sconti né ha lasciato aperta quella via di compromesso nella quale sperava il Cavaliere: la partita decisiva si giocherà davanti agli ermellini del Palazzaccio, ed è pensando a loro che Berlusconi ha scaricato il maestro Pietro Longo, tenuto l’allievo Niccolò Ghedini e affiancato alla difesa il ben più istituzionale professor Franco Coppi.

A questo punto è impossibile per Berlusconi rischiare di farsi sorprendere dalla Cassazione fuori dal senato. L’interdizione infatti, come insegna il precedente Previti, non è automatica ma va fatta approvare dall’aula. Qualsiasi tentazione di far cadere il governo va dunque da parte del Cavaliere misurata con il rischio dello scioglimento delle camere. Ma nel frattempo è partito un altro conto alla rovescia, quello dell’ineleggibilità. La giunta del senato è orientata ad affrontare il 9 luglio la nota questione della legge del ’57 che esclude i titolari di concessione pubblica dalle elezioni, ma per Berlusconi è stata finora inapplicata.

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