Il manga che affronta la vita reale, lavoro compreso I fumetti per i giovani adolescenti e pre-adolescenti giapponesi (shonen manga) seguono pattern narrativi comuni: tutto solitamente inizia con un protagonista che potrebbe avere la stessa età del lettore, ma […]

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 27 gennaio 2014

I fumetti per i giovani adolescenti e pre-adolescenti giapponesi (shonen manga) seguono pattern narrativi comuni: tutto solitamente inizia con un protagonista che potrebbe avere la stessa età del lettore, ma è spesso dotato di poteri sovrannaturali che scopre via via che si dipanano le sue vicende. Spesso il protagonista vive e viaggia in mondi di fantasia o in ambientazioni che descrivono la realtà ipermoderna delle città giapponesi. Incontra nemici, ma soprattutto nuovi amici e compagni.

Quindi si formano dei veri e propri team di combattimento, guidati dal protagonista, che affrontano sfide sempre nuove e sempre più complesse.

La morale è duplice e si adatta perfettamente all’ambiente in cui fin dalla più tenera età si trovano a vivere i giovani lettori: l’armonia di gruppo – di conseguenza il sacrificio personale in nome di questo, ma anche solo della famiglia e poi dell’intera società – e il desiderio di migliorarsi continuamente.

Con Bakuman Tsugumi Ohba e Takeshi Obata ribaltano gli schemi e trasportano alcuni temi tipici dello shonen manga nel mondo reale. Più precisamente nel campo del lavoro. Gli autori del popolarissimo Death Note, arrivato in Italia nel 2006 ad appena 3 anni dalla prima uscita in Giappone – tempi record per un fumetto giapponese, avevano già trattato temi come la competizione per entrare nelle università migliori e come il successo accademico influisca sulla reputazione del singolo.

Qui i due fanno un passo ulteriore. Il protagonista, Mashiro, nelle prime pagine riflette sul proprio futuro. E di scelte sembra averne poche, forse l’unica concessa ai ragazzi all’ultimo anno di scuola dell’obbligo: andare al liceo, poi entrare in una buona università e infine trovarsi un buon lavoro, magari per tutta la vita. A quest’idea, Mashiro contrappone un sogno: sfruttare il suo talento di disegnatore e diventare un mangaka (disegnatore di manga). O meglio un “artista” di manga. Ma la strada è tutta in salita. Anche perché il mondo dei fumetti in Giappone è forse anche più competitivo dell’università e della ricerca di un lavoro in una buona azienda: chi riesce a pubblicare su un settimanale a grande diffusione, viene inserito in una classifica di gradimento dai lettori. Chi non rientra nei primi .

Soltanto una piccola percentuale di disegnatori riesce a vivere del suo lavoro: appena – spiega lo stesso Mashiro – lo 0,001 per cento. Gli altri si arrabbattano come possono, ma non sfondano. E alla fine, muoiono per il troppo lavoro o per la depressione. Disegnare manga non è un passatempo; è una dei mestieri più logoranti e che più consuma la sua forza lavoro.

Un problema, quello del karoshi emerso per la prima volta nel 1969, con la morte di uno spedizioniere 29enne e riconosciuto ufficialmente dal Ministero del Lavoro solo nel 1987, anno in cui vennero pubblicate le prime statistiche ufficiali.

Anche se la retorica tipica dello shonen manga domina, Bakuman ha il pregio di rimettere in luce, seppur in forma di fumetto, uno dei problemi che dai tempi della bolla economica tra anni ’80 e anni ’90 risalta sulle cronache nazionali. E che oggi, con la probabile futura deregulation del mercato del lavoro, rischia di tornare di stringente attualità.

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