Siediti sulla riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico»: neppure questa soddisfazione potranno togliersi scienziati e ambientalisti che per anni hanno evidenziato – inascoltati – i rischi dei cambiamenti climatici. Con i fiumi che portano sempre meno acqua, infatti, si vedranno passare ben pochi cadaveri (simbolici, è ovvio!) di «negazionisti climatici».

Oggi si grida all’emergenza idrica, ma negli ultimi decenni abbiamo aggredito i sistemi naturali che conservano e rendono disponibile l’acqua per noi e l’ambiente: l’abbiamo privatizzata, inquinata, sprecata nonostante sia un bene fondamentale per la nostra stessa vita. Eppure il nostro Paese potenzialmente sarebbe ricco d’acqua. Abbiamo precipitazioni per circa 300 miliardi di metri cubi ogni anno, media tra le più elevate nel mondo.

Secondo alcune stime, la nostra disponibilità effettiva di risorse idriche ammonta a 58 miliardi di metri cubi: quasi 3/4 da sorgenti superficiali, fiumi e laghi, il resto da falde sotterranee. Una grande disponibilità che però si sta riducendo come testimonia il decremento del volume di acqua che defluisce a mare: rispetto al periodo 1971-2000, dal 2001 al 2019 la portata del Tevere è diminuita del 15% e quella del Po di oltre l’11%.

Considerato che esistono usi dell’acqua prioritari, dal potabile al civile, dalla produzione di cibo al mantenimento degli ecosistemi, a fronte della sua minor disponibilità è cruciale rivedere la sua distribuzione tra i vari utilizzi, rinunciando a quelli non più sostenibili come alcune coltivazioni agricole o l’innevamento artificiale con neve sparata da cannoni. Insostenibili anche le perdite a causa di una rete colabrodo: ogni 100 litri di acqua immessi in rete ben 42 vadano dispersi senza arrivare nelle case. A ciò si aggiunge che gli italiani consumano più acqua di tutti gli europei, con una media annua di circa 120/150 metri cubi per nucleo familiare.

Un sistema non efficiente causato anche dal frazionamento della gestione che impedisce la pianificazione di consumi e investimenti. Le Autorità di bacino distrettuali, enti che dovrebbero garantire una visione unitaria per una gestione sostenibile dell’acqua, sono da anni marginalizzati, mentre le singole Regioni continuano a gestire il rischio idrogeologico, gran parte delle concessioni d’uso e le politiche agricole, senza un coordinamento e una visione a livello di bacino idrografico.

I corsi d’acqua, vere e proprie arterie di un sistema che raccoglie e rende disponibile l’acqua, sono stati canalizzati, cementificati e sbarrati. La riduzione drastica delle portate, unita al progressivo abbassamento dell’alveo dei fiumi, sta contribuendo alla risalita di acqua salata dal mare: nel Po il cuneo salino è avanzato di ben 21 km, rischiando di compromettere l’irrigazione di colture già stressate dalla siccità e dalla cancellazione delle aree naturali di esondazione, una vitale «spugna» che trattiene le acque durante le piene, rilasciandola progressivamente nei periodi di siccità.
Per non parlare poi di come l’acqua viene restituita in natura dopo il suo utilizzo. L’inquinamento causato da pesticidi e fertilizzanti è una delle cause principali della scarsa qualità delle acque. Anche sotto questo aspetto c’è da stare preoccupati: l’Ispra ha trovato pesticidi nel 77,3% dei siti superficiali di monitoraggio e nel 32,2% di quelli sotterranei, individuando 299 sostanze inquinanti nelle acque interne.

Cosa si può fare per cercare di migliorare questa situazione? La risposta è banale: imitare la natura, sfruttando il funzionamento degli ecosistemi per trattenere l’acqua, renderla disponibile e ricaricare le falde. Oggi le chiamano Nature Based Solution, ovvero soluzioni ispirate alla natura, ma sono solo delle buone pratiche, capaci di restituire molto più di quanto vi viene investito: proteggere suolo, foreste naturali e zone umide, combattendo il consumo del suolo che in Italia avanza al ritmo di 16 ettari al giorno; rinaturalizzare il funzionamento ecologico dei fiumi, aumentando la capacità di assorbimento delle fasce ripariali; rigenerare le zone umide; rivedere le concessioni idriche dando priorità agli usi idropotabili, all’agricoltura sostenibile e agli equilibri ecologici; combattere lo spreco.

Ma la priorità rimane quella di abbattere le emissioni di gas climalteranti per scongiurare il pericolo di un innalzamento della temperatura tale da rendere vane tutte le azioni di adattamento.