Mentre la morsa del Covid si allenta sul Piemonte, rimane aperta la questione delle residenze sanitarie (Rsa), dove negli ultimi tre mesi sarebbero morti almeno 2.500 ospiti a causa del Coronavirus. Sul tavolo delle procure ci sono diverse inchieste e, mentre ritarda la riapertura delle residenze all’esterno, scendono in piazza i familiari delle vittime nelle Rsa.

L’appuntamento è per le 18 di oggi, davanti alla sede della Regione in piazza Castello a Torino. È organizzato dal Comitato parenti delle vittime nelle Residenze sanitarie assistenziali, promosso dalla Fondazione promozione sociale onlus, che dal 2003 si batte per i diritti dei non autosufficienti. I manifestanti appenderanno gli oltre 50 esposti inviati alla Procura di Torino e ai Nas sui fatti accaduti in questi mesi di pandemia, leggeranno alcuni brani delle segnalazioni fatte dai parenti. Poi, ci sarà un minuto di silenzio per le vittime rotto da un gradne fischio collettivo per «svegliare» la Regione guidata dalla giunta Cirio, a cui il Comitato ha chiesto un incontro.

L’iniziativa vuole che non vengano dimenticati i malati non autosufficienti morti nelle Rsa lontani dalle proprie famiglie e che vengano riaperte le visite dei familiari dei malati degenti in Rsa, isolati da oltre 3 mesi: con tutte le misure di sicurezza del caso. «Quanto ci vuole ancora perché Regione e singoli gestori attrezzino le visite?» si chiedono gli organizzatori. E tra i vari punti sollevati il Comitato vuole promuovere una riforma radicale delle Rsa. «Oggi – spiega Andrea Ciattaglia, portavoce di Fondazione Promozione sociale che ha dato il via al Comitato – le Rsa sono strutturalmente inadeguate a garantire cure ai malati non autosufficienti, l’epidemia di Covid ha solo dimostrato in breve tempo questo carenza. Parliamo di malati di Alzheimer, Parkinson, reduci da ictus o da incidenti, che hanno perso la loro autonomia, spesso anche la loro lucidità. A fronte di questo nelle Rsa non c’è un medico h24, l’unica copertura che hanno i pazienti è il medico di medicina generale, come tutti i cittadini, spesso “a chiamata”. Il resto degli operatori sono infermieri (pochissimi, qualche decina di minuti al giorno per paziente) e Oss, che teoricamente non dovrebbero somministrare terapie e occuparsi dell’aspetto clinico.

Tutto il personale delle Rsa è costantemente sottodimensionato. La riforma chiede una maggior copertura medica, con professionisti che lavorino in équipe come nei reparti ospedalieri. Ovviamente i maggiori costi dovrebbero essere a carico dell’Asl e non ripartiti con l’utente, altrimenti la sua quota alberghiera (oggi per chi è in convenzione sono già 1.500 euro al mese) diventerebbe insostenibile».

I gestori delle Rsa del Piemonte, come Anaste (Associazione nazionale strutture Terza età, che raggruppa un terzo dei 29mila posti Rsa nella regione), certificano attualmente 4.500 posti liberi nelle residenze dopo il picco di contagi e morti. Questi sarebbero così suddivisi: 500 pazienti portati a casa dai parenti prima della chiusura; un migliaio di posti fra quelli vuoti fisiologicamente e altri destinati alla continuità ospedale-territorio; 3.000 morti negli ultimi 3 mesi, molto probabilmente 2.500 per Covid. Una cifra imponente se calcoliamo che il numero di decessi ufficiale per Coronavirus in Piemonte è di poco superiore ai 4 mila.

Il Comitato promuove anche le cure domiciliari, compreso un assegno di cura di titolarità delle Asl. «È necessario – sottolinea Ciattaglia – che la sanità faccia la sua parte, altrimenti tutti gli appelli alle cure domiciliari dei non autosufficienti sono degli “scaricamenti” mascherati sulla famiglia del malato, lasciata sola».