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Per l’Egitto di al Sisi Hamas è un gruppo «terrorista»

Per l’Egitto di al Sisi Hamas è un gruppo «terrorista»Bambini a Gaza con le bandiere di Hamas – Reuters

Palestina Solo due anni fa Morsi e islamisti erano alleati. E lo Stato Islamico per l’Arabia saudita rappresenta un problema secondario rispetto all’Iran

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 marzo 2015

Come sarà inquadrata la Striscia di Gaza nella strategia del nuovo re dell’Arabia saudita, Salman, in Medio Oriente, è uno degli interrogativi più attuali. Se lo domandano in particolare i leader di Hamas che nei giorni scorsi si sono ritrovati ancora più isolati dopo la decisione dei giudici egiziani, su evidente pressione del regime di al Sisi, di proclamare «organizzazione terroristica» il loro movimento.

I dirigenti di Hamas rischiano l’arresto immediato se entreranno sul territorio egiziano dove, al contrario, fino a due anni fa erano accolti come alleati dal presidente islamista Mohammed Morsi, deposto con la forza dal colpo di Stato militare del 3 luglio 2013. Hamas è rimasto schiacciato nella pesante repressione attuata dal Cairo contro il movimento dei Fratelli Musulmani, del quale rappresenta il ramo palestinese. L’Egitto accusa Hamas di cooperare con i jihadisti che operano nel Sinai; un’accusa che appare inverosimile anche agli analisti stranieri. Non si vede perché il movimento palestinese dovrebbe appoggiare attacchi contro l’Egitto che rappresenta la sua unica possibilità di rompere il blocco di Gaza, attuato da Israele, e con il quale, anche dopo il golpe militare, ha provato invano a riallacciare relazioni. È la prima volta che un Paese arabo proclama ufficialmente Hamas «organizzazione terroristica». La decisione rischia di avere conseguenze serie per il movimento islamico e per l’incolpevole popolazione di Gaza. L’Egitto, che già contribuisce all’isolamento della Striscia, in futuro potrebbe sottrarsi al suo ruolo di collegamento indiretto tra Hamas e Israele e tenendo presente che non sono mai cominciati i negoziati per il prolungamento del cessate il fuoco che lo scorso 26 agosto ha messo fine a «Margine Protettivo», una scintilla o un pretesto potrebbero aprire la strada ad una nuova operazione militare israeliana contro Gaza.

Una via d’uscita per Hamas potrebbe essere la strategia di rafforzamento dell’alleanza tra sunniti, portata avanti re Salman in funzione anti-Iran. Il monarca saudita, dopo la sua recente nomina avvenuta alla morte del fratello, ha incontrato i leader dei Paesi a maggioranza sunnita della regione, dalla Turchia agli Emirati, dall’Egitto alla Giordania, per fare il punto dopo la decisione Usa di arrivare ad un accordo sul programma nucleare della nemica Tehran.

Riyadh non cambia idea, considera un nemico l’Iran, molto più di Israele. I petromonarchi del Golfo non possono dirlo apertamente ma hanno applaudito al premier israeliano Netanyahu quando la scorsa settimana ha arringato il Congresso Usa sui presunti pericoli del programma atomico dell’Iran. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, lo Stato Islamico per l’Arabia saudita rappresenta un problema secondario rispetto all’Iran.

Per motivi ideologici: il salafismo che anima il Califfato è parente stretto del wahabismo che regola rigidamente la vita nel regno dei Saud. I coltellacci dell’Isis che decapitano di fronte alle telecamere nemici ed ostaggi, in fondo non sono tanto diversi dalle sciabole affilate che in pubblico tagliano ogni anno dozzine di teste in Arabia saudita. La differenza è che Riyyadh è alleata di Washington. Salman non ha un giudizio dei Fratelli Musulmani diverso dai suoi predecessori. Continua a considerarli avversari per ragioni ideologiche e perché mettono in discussione la legittimità del potere della dinastia Saud. Il nuovo re però ha un approccio più sfumato alla questione. Pensa che questo sia il momento di affrontare quelli che lui considera i «veri nemici» dell’Islam sunnita, ossia gli sciiti rappresentati dalla crescente potenza iraniana. I Fratelli musulmani, ipotizza Salman, potrebbero, ma a certe condizioni, partecipare a questa guerra aperta o sotterranea contro gli sciiti e l’Iran in corso dal Libano allo Yemen, dall’Iraq alla Siria fino al Bahrain. E infatti già girano indiscrezioni sul prossimo arrivo a Riyadh del capo in esilio dell’ufficio di Hamas, Khaled Mashaal. Se l’anno scorso re Abdallah aveva richiamato l’ambasciatore saudita in Qatar in protesta all’appoggio di Doha ai Fratelli Musulmani, ora Salman chiede indulgenza ai Paesi alleati in nome della battaglia contro l’Iran. Per questo, con continui summit, cerca di attenuare le differenze tra i leader regionali. L’egiziano al Sisi è un nemico giurato della Fratellanza, appoggiata invece della Turchia e dal Qatar. Re Abdallah della Giordania, come il padre Hussein, guarda ai Fratelli come a una costante insidia per il suo potere. A tutti Salman dice di badare al «problema principale». Sull’accoglimento da parte dell’Egitto della linea di Riyadh (sponsor economico fondamentale del Cairo), punta Hamas. Tuttavia per il movimento islamico palestinese non sarà facile cambiare di nuovo la sua «poltica estera». Dopo aver abbandonato nel 2012 Siria e Iran per seguire il Qatar, Hamas lavora a recuperare i rapporti con Tehran. La retromarcia è possibile ma anche imbarazzante.

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