Gli anni Novanta del Novecento, in quanto ancora sostanzialmente analogici sono stati probabilmente l’ultimo istante in cui era possibile sentire addosso il trascorrere del tempo, e tanto più era possibile sentirlo nell’infanzia. Passato dunque il tempo dell’infanzia con le foto in bianco e nero, quella stagione anticipa analogicamente quello che oggi si definisce nel mondo digitale come metaverso, ovvero una rete di mondi capace di espandersi dando così forma a multiple identità.

L’INFANZIA DEGLI ANNI NOVANTA assumeva nelle sue giornate questa medesima forma di espansione, seppure analogicamente, fatta di alterne pause sentimentalmente eterne e improvvise accelerazioni. Di volta in volta una storia diversa, un’avventura minima che faceva da corollario ad altre potenzialmente infinite. Un inseguimento dentro al quale la crescita era definita dalla capacita di darsi forma, e di volta in volta con un’identità rinnovata. E vive di questo movimento multiplo e privo di un centro e di una periferia il nuovo romanzo di Laura Fusconi, I giorni lunghissimi della nostra infanzia (Nottetempo, pp. 320, euro 17).

RAFFINATA NARRAZIONE composta da tre capitoli-storie, I giorni lunghissimi della nostra infanzia, anticipa emotivamente il futuro di Susanna, Annalia e Matteo, protagonisti del romanzo, dispersi nella provincia di Piacenza. La scrittura e anche alcune parti del romanzo ricordano a tratti seppur con meno durezza, l’esordio di Simona Vinci, Dei bambini non si sa niente che nel 1997 scosse i lettori e la critica. Pur permanendo alcune dinamiche cardine del romanzo di formazione, e anche se in questo caso si può definire «di dispersione» data una sfiducia che il contesto oppone all’ostinazione a crescere dei protagonisti, nel romanzo di Laura Fusconi appare una forma di disincantata dolcezza che ammorbidisce e offre una possibile via di fuga o meglio di crescita.

SEGNATI GIÀ DA UN DOLORE intimo e tragico i protagonisti appaiono all’interno dei tre movimenti del romanzo: L’Orsa Bruna, Cinque coniglietti e La vasca delle trote perdersi. Immersi in un tempo e in un spazio che si fa alternativamente vivido e denso come assente e impalpabile Un incedere plastico e per certi versi disumano che inquieta e spaventa come lo possono fare le fiabe a cui per certi versi Fusconi si richiama sia nel cogliere le note di terrore come di salvezza.

«I GIORNI LUNGHISSIMI della nostra infanzia» è un racconto nero come lo possono essere le infanzie segnate da rabbia e paura, ma proprio nelle lunghissime e seppure angoscianti giornate cresce lo spazio per un intreccio sorprendente che lega i protagonisti anche all’interno dei tre movimenti narrativi. Un romanzo originale che coglie l’unicità dell’infanzia traducendola in un tempo, gli anni Novanta, rapidamente rimossi spesso per assenza di narrazioni possibili, nonostante la ricchezza di una letteratura italiana che proprio allora ruppe con il passato. Fusconi apre uno squarcio e coglie il tempo fermo e inedito che da adulti non si sa più riconoscere e non si sa più di aver per davvero vissuto.