Per la transizione ecologica critica alle casematte del capitalismo
Ecologia anticapitalista «Ritorno alla normalità» invocano Confindustria, destra e alcuni giornali. Vuol dire aumento della forza produttiva, boom dei consumi, grandi opere. Stessa traccia per il NgeEu
Ecologia anticapitalista «Ritorno alla normalità» invocano Confindustria, destra e alcuni giornali. Vuol dire aumento della forza produttiva, boom dei consumi, grandi opere. Stessa traccia per il NgeEu
Il rapporto tra capitalismo e questione ecologica rappresenta uno dei punti più delicati di riflessione per la sinistra. Sul tema è intervenuto ultimamente Guido Viale (il manifesto del 6 aprile) con la consueta chiarezza e profondità di analisi. Comunque la si guardi emerge una incompatibilità oggettiva tra l’attuale modello di produzione e di consumo e l’obiettivo della transizione ecologica.
Il ritorno alla «normalità» invocato dalla destra e dalla Confindustria, con la grancassa di alcuni giornali, è in realtà l’indicazione di una ripartenza con le caratteristiche di sempre: aumento della forza produttiva, boom dei consumi, massicci investimenti nelle grandi opere. Nell’ottica imprenditoriale, anche i programmi di spesa del NGEU, dovrebbero seguire questa traccia. Come tutto questo possa conciliarsi con la sostenibilità ambientale è un mistero da decifrare e fa sorgere seri e giustificati dubbi sulla reale portata della svolta ecologista delle imprese. Siamo dunque in presenza di una evidente contraddizione tra i buoni propositi del NGEU, specialmente in materia ambientale, e le tendenze economiche reali.
Si aprono, oggettivamente, nuovi spazi di iniziativa e di movimento per la sinistra. La sfida per migliorare il mondo in cui viviamo va portata avanti. Ma in politica, si sa, contano i rapporti di forza e la sinistra, purtroppo, è in una condizione oggettiva di debolezza, per una serie di fattori concomitanti, che vengono da lontano e che non è possibile ora richiamare. Un sano realismo, anche a sinistra, non guasterebbe. Sarebbe importante, intanto, reinstallare il software del pensiero critico, riannodando i fili di una ricca tradizione culturale e politica, italiana ed europea, che in altri tempi ha reso forte e combattivo il movimento operaio. Uno dei concetti da recuperare è certamente quello gramsciano di «egemonia».
Nei suoi due secoli di vita il capitalismo ha saputo utilizzare i progressi della scienza e della tecnica e ha dimostrato una notevole capacità di trasformazione e di adattamento. È sempre riuscito, pur in contesti politici, istituzionali e sociali diversi, a trovare un equilibrio tra i suoi interessi e quelli dell’insieme della società. Da qui la sua egemonia, che si è rafforzata negli ultimi 40 anni, grazie ai processi di globalizzazione, alla rivoluzione digitale e alla perdita di peso e di ruolo politico e sociale dei partiti socialisti e dei sindacati.
Oggi la costruzione di una linea ecologista ed anticapitalista passa per l’individuazione di alcune «casematte» dell’egemonia capitalista verso cui rivolgere le armi della critica. E cercare di aprire dei varchi. L’industria della pubblicità è una di queste. È complementare alla società dei consumi, la faccia accattivante e subdola del capitalismo. Attraverso il battage pubblicitario si orientano e si indirizzano i gusti, i comportamenti e gli stili di vita. I cittadini consumatori vengono blanditi, convinti e irretiti. Mi sono sempre chiesto perché la sinistra non abbia mai preso di petto questa questione. Contestare i meccanismi della pubblicità significherebbe porre dei limiti a un martellamento continuo teso a generare in continuazione pseudo-bisogni. Contrastare la pressione psicologica, che spinge all’isolamento individuale e a trovare nel mercato l’unica forma di socializzazione, è una battaglia culturale e di civiltà non rinviabile.
La seconda casamatta è il credito, funzione essenziale del consumo e degli investimenti di famiglie e imprese. Favorisce e incoraggia l’indebitamento. La circolazione del denaro alimenta a sua volta la fede nello sviluppo illimitato. Si è finito col creare denaro dal nulla. Ora, pesanti nuvoloni stanno per addensarsi sulla nostra testa e non promettono nulla di buono. Speculazioni in borsa, denaro virtuale, l’accumularsi di titoli spazzatura e derivati vari nella pancia di società finanziarie, banche e assicurazioni (si parla di alcuni trilioni di dollari, un valore che supera dieci volte il Pil mondiale) rischiano di scatenare una tempesta finanziaria più devastante di quella del 2007-2008. È importante che la sinistra ingaggi una seria battaglia perché la finanza ritrovi un solido ancoraggio con l’economia reale, oggi inesistente.
La terza casamatta è l’«obsolescenza programmata». Il capitalismo, tramite le innovazioni tecnologiche, propone sul mercato prodotti sempre nuovi e di ogni specie. Ma le merci hanno la caratteristica di durare un tempo prestabilito. Sebbene, per esempio, sarebbe tecnicamente possibile fabbricare lampadine di durata superiore a quella di una vita umana, si rinuncia a farlo. Non siamo in una società fondata sullo scrupolo ecologico e sul primato del valore d’uso. La quantità fa premio sulla qualità. La riparazione e la manutenzione sono ridotte all’osso o per nulla contemplate. È la filosofia dell’«usa e getta». Così la breve durata dei prodotti si traduce necessariamente in un aumento esponenziale della quantità di rifiuti e in un danno sicuro per l’ambiente. Come dire che la svolta green si infrange e si disperde di fronte alla logica stringente del sistema capitalista.
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