Commenti

Per Joe Biden andrà (quasi) tutto bene

Per Joe Biden andrà (quasi) tutto beneTrump e Biden in uno dei confronti della campagna elettorale – Ap

Il testacoda di Trump I repubblicani nella società americana sono un partito strutturalmente minoritario per ragioni demografiche: le donne, che rappresentano il 52% dell’elettorato, votano per i democratici 15 punti percentuali in più che per i repubblicani (57% contro 42%). Le minoranze etniche crescono di numero e tendono a votare democratico

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 14 novembre 2020

Joe «AndraTuttoBene» Biden sta pensando all’insediamento del 20 gennaio, ha nominato il suo capo di gabinetto e, da dietro la mascherina, sorride a tutti. Del resto, cosa potrebbe andare storto? Ha avuto oltre 78 milioni di voti , contro i circa 73 milioni di Trump. Che il presidente non abbia ancora riconosciuto la sconfitta sembra un tic caratteriale, parte dello show. Eppure…
In teoria, Joe Biden è già sicuro di aver superato la maggioranza assoluta dei grandi elettori (ne avrebbe 290, secondo il New York Times).

Ed è il probabile vincitore anche in Georgia, il che porterebbe il totale a 306, una vittoria molto larga sia nel voto popolare che in quello del collegio elettorale. Nessun paragone possibile, quindi, tra le elezioni del 2020 e quelle rubate del 2000, quando la Corte Suprema decise di mettere fine ai riconteggi in Florida, di fatto assegnando la vittoria a George W. Bush per uno scarto di 537 voti sui vari milioni scrutinati. Eppure…

Guardiamo a cosa deve succedere adesso: entro l’8 dicembre gli stati devono aver contato i voti, risolto le dispute legali sollevate da Trump e designato un vincitore del «pacchetto» di grandi elettori. Da Costituzione, spetta ai parlamenti dei singoli stati, e poi al governatore, approvare la lista. E qui cominciano le complicazioni, che non sono legate ai ri-conteggi ma al barocco meccanismo elettorale e al disperato desiderio del partito repubblicano di restare al potere ad ogni costo.

E quando si dice «ad ogni costo» si intende proprio «ad ogni costo»: i repubblicani sono stati sconfitti nel voto popolare in sette delle ultime otto elezioni presidenziali, eppure hanno eletto il presidente tre volte, non una sola. Nella società americana sono un partito strutturalmente minoritario per ragioni demografiche: le donne, che rappresentano il 52% dell’elettorato, votano per i democratici 15 punti percentuali in più che per i repubblicani (57% contro 42%). Le minoranze etniche crescono di numero e tendono a votare democratico. La maggioranza bianca, ora due terzi dell’elettorato, diminuisce ad ogni tornata elettorale.

Questo è il motivo per cui i repubblicani sono disposti a tutto pur di conservare le loro posizioni di potere: hanno riempito la Corte Suprema di giudici conservatori ma soprattutto giovani, che resteranno in carica per decenni dopo la scomparsa di Trump. Hanno ridisegnato i collegi elettorali della Camera dopo il censimento del 2010 in modo spudoratamente favorevole ai loro candidati. Difendono la loro risicata maggioranza in Senato come fosse la linea del Piave. E, naturalmente, difendono anche Trump, che ha trascinato anche i loro deputati e senatori a inaspettate vittorie.

Quanto in là si spingeranno nella difesa dell’indifendibile? Lo vedremo il 14 dicembre, la data fissata dalla legge in cui i grandi elettori dei singoli stati voteranno per il candidato alla presidenza a cui sono legati. In gennaio il Congresso conterà i voti espressi dai grandi elettori, certificando il vincitore e il 20 gennaio alle 12 ci sarà il giuramento del nuovo presidente. Cosa potrebbe andare storto?

La strategia di Trump è di mantenere il risultato in discussione nei tribunali fino all’8 dicembre, quando gli stati devono scegliere i loro grandi elettori sulla base dell’esito del voto. In questo caso, la Camera e il Senato di alcuni stati potrebbero decidere due cose: primo, potrebbero scegliere autonomamente quali grandi elettori nominare, a prescindere dall’esito del voto popolare: la Costituzione (art. II, sez. 1) dà loro questo potere. Sia in Wisconsin che in Michigan e in Pennsylvania (i tre stati-chiave per l’elezione di Biden) il governatore è democratico, ma i parlamenti locali sono controllati dai repubblicani.

Secondo: i riconteggi potrebbero funzionare da pretesto per non scegliere i grandi elettori, anche questo costituzionalmente ammissibile. Lo scopo sarebbe di impedire a Biden di ottenere una maggioranza nel collegio elettorale facendo scattare la clausola della Costituzione in base alla quale se nessun candidato ottiene la metà più uno dei grandi elettori il compito di eleggere il presidente passa alla Camera dei rappresentanti.

Attenzione, però: in questo scenario ogni delegazione di deputati di uno stato avrebbe diritto a esprimere un solo voto e i repubblicani controllano 26 delegazioni su 50. Ovvero la Camera, a maggioranza democratica, potrebbe rieleggere Trump.
E poi c’è ancora la possibilita che alcuni grandi elettori di Biden, costretti o comprati, votino invece per Trump, anche questa una cosa che la Costituzione permette…

Fantapolitica? In fondo il grande storico Howard Zinn, descrivendo lo svolgimento della convenzione costituzionale del 1787 disse: «Furono avanzate diverse proposte per far sì che il presidente fosse semplicemente eletto dal voto popolare. Quelle proposte furono immediatamente bocciate… i Padri fondatori non erano certo inclini ad accettare che fosse il popolo a scegliere le persone che avrebbero guidato il nostro governo».

Joe Biden ha vinto. Tutto andrà bene. Forse.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento