Per il ministro è aiutare i disagiati a essere bravi tecnici
Il ministro dell’Istruzione in una intervista al Corriere ha dato la ‘linea’ della politica del suo ministero. È bene averla chiara, per capire che cosa ci aspetta per il futuro e magari fare qualcosa. Valditara comincia col dire che “la scuola oggi è una scuola classista” ovvero “non è la scuola dell’eguaglianza”, troppo alti sono i dati sulla dispersione e le disparità fra varie parti del Paese.
Poi però aggancia classismo e “merito”, considerato “sostanza della parola Istruzione”. A suo dire senza premiare il merito non si “valorizzano i talenti di ognuno” e non si favoriscono “le potenzialità di tutti”; “chi è in difficoltà” va aiutato, ma soprattutto va dato pieno sostegno alle “capacità dei più bravi”. Questo intendono per “merito”. Questo il singolare “a ciascuno secondo i suoi bisogni” della destra post-fascista.
Ma quando si approfondisce le cose ovviamente cambiano. La retorica del “merito” si conferma pienamente compatibile con un approccio smaccatamente neo-classista. Il ministro dice infatti che si tratta di “potenziare l’istruzione tecnico-professionale”, che anzi va posta “in filiera con l’istruzione tecnica superiore”. Qui siamo oltre anche “l’alternanza scuola-lavoro”: i figli dei poveri non lasceranno mai la via che porta ad un futuro da poveri, da subalterni, da svantaggiati.
Non che il “merito” non valga anche per i poveri. Anzi i più bravi fra di loro è giusto che emergano entro la ‘categoria’ (gli va assicurata “una maggiore occupabilità”). Ma non è certo il ripristino dell’“ascensore sociale”, perché anzi si raddoppia il classismo: fra ricchi e poveri e fra poveri e poveri. Gerarchia, più che pari opportunità, anzi pari diritto.
Tanto è vero che l’orientamento della scuola dei poveri resta monopolio dei ricchi, dipendente dalle “migliori competenze professionali offerte dalle imprese”. Resta fermo cioè che “vanno ridefiniti i profili professionali sulla base delle reali esigenze del territorio” e “per formare le professionalità di cui l’industria ha bisogno”. Al centro della scuola della destra non stanno le “reali esigenze” formative di ragazzi e ragazze, ma quelle di imprese e autonomie locali (regionali e non).
Quanto ai docenti il ministro dice di voler trovare i fondi per aumentare gli stipendi, di volergli di nuovo assicurare “rispetto” e “dignità”, ma vagamente rimarca “che non devono mai venire meno al loro ruolo di educatori”. Il ministro conclude proponendo una “grande alleanza per il merito”. Essa dovrebbe addirittura inverare l’articolo 3 della Costituzione, per la parte che invita a perseguire il “pieno sviluppo della persona umana”.
Solo che lo stesso articolo dice anche altro, stabilisce come realizzare una piena eguaglianza: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana” e garantire l’accesso dei lavoratori “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Valditara naturalmente non cita questo dispositivo della Costituzione. Mistifica il senso dell’articolo 3. Scinde la libertà della persona dalle condizioni economico-sociali della libertà stessa. Quello di Valditara è un “merito” classista. Questo pensa e prepara la destra al governo. Ci fosse una sinistra dovrebbe non solo opporsi votando contro, ma opporsi proponendo un’altra idea di scuola, di politica, di democrazia, di civiltà.
Lo ha ricordato bene Salvatore Cingari sul manifesto: senza critica della logica di mercato non c’è “merito” che tenga ed è “del tutto illusorio l’investimento sull’istruzione per rendere la società più inclusiva”. Per avere una buona scuola occorre una buona società e per questa servirebbe una buona sinistra per la quale il merito non sia quello di Calenda, Renzi o Cottarelli.
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La meritocrazia, panacea contro le disuguaglianze socialiPer dare un po’ di respiro al discorso può essere utile ricordare che già 2500 anni fa Platone nel Protagora sosteneva che la scuola non deve essere professionalizzante, per fare dello studente un “demiurgo”, un lavoratore manuale appendice del processo produttivo, ma essere autentica formazione, sviluppo spirituale dei giovani, l’unico “che conviene all’uomo libero”. Paideia non “merito”.
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