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Per il «chimico ribelle» la semplicità è il segreto della ecobiocosmesi

Per il «chimico ribelle» la semplicità è il segreto della ecobiocosmesi

Intervista Fabrizio Zago, fondatore di EcoBiocontrol: educazione necessaria contro l'invasione del marketing

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 12 aprile 2018

Fabrizio Zago, chimico industriale tra i primi che venti anni fa hanno contribuito ad aprire il discorso sui cosmetici e detergenti, ponendo l’attenzione sull’impatto ambientale e sulla salute degli ingredienti. Tra le sue attività, è fondatore di EcoBiocontrol, un portale composto dal dizionario delle molecole, dal forum e da un magazine informativo. EcoBiocontrol è anche un sistema di approvazione (non di certificazione) per prodotti meno inquinanti, più biologici e sostenibili. Ama definirsi «chimico ribelle», è una voce riconosciuta a livello internazionale.

Dottor Zago, parliamo di cosmesi naturale…

Intanto non chiamiamola «cosmesi naturale», per favore! Impariamo a usare i termini giusti, spiego il perché. Una signora mi ha contattato chiedendomi un consiglio su un prodotto che si prometteva di essere al 100% di origine naturale. Il prodotto in questione le era stato proposto dal produttore, di quelli che fanno le vendite porta a porta. L’ho analizzato: ho scoperto che la crema in questione era composta per il 98% da olio di vaselina. La vaselina è un distillato del petrolio. L’ho detto alla signora, la quale ha posto la questione all’azienda. La risposta è stata: certo, abbiamo detto il vero perché il petrolio è di origine naturale, infatti si trova in natura. Voglio dire che bisogna calibrare le parole. Esempio, parliamo di prodotti vegetali. L’asbesto, la cicuta e il curaro sono prodotti vegetali. Lei userebbe un collutorio fatto con il curaro? Lo sconsiglierei. Voglio dire che l’alfabetizzazione è necessaria, perché l’invasione del marketing è deleteria.

La lettura degli Inci può essere complicata, ma ci sono ingredienti che si possono iniziare a conoscere per evitare i prodotti che li contengono?

Certo, ad esempio il Cyclosiloxane è un silicone non biodegradabile, oppure si può conoscere la Imidazolidinyl urea che è un cessore della formaldeide… Però chi arriva a questo livello di conoscenza? La stragrande maggioranza non è così attenta. Importante, per esempio, è ragionare sulla quantità degli ingredienti. Ford diceva a proposito delle auto: meno roba ci metti meglio è, tutto quello che non metti non si rompe. Nel nostro caso tutto quello che non ci metti non provoca allergie. Quindi le formule semplici, parsimoniose e che svolgono una funzione specifica, sono l’ideale. Altri esempi. Quando il numero degli ingredienti è dovuto a 15 estratti vegetali proclamati, è una presa in giro. All’interno di una formula che contiene conservanti, fattori di consistenza, vitamine, sali, eccetera, che quantità ci può essere di quei 15 estratti vegetali? Lo 0,1%, di più non ce ne starebbe, sarebbe impossibile. Qualcuno ha la bontà di dirmi che azione cosmetica ha un prodotto di questo tipo? Io dico nessuna. In più con 15 ingredienti vegetali diversi corro seriamente il rischio di trovarne uno che mi causa allergie.

Oltre all’Inci sulle confezioni vengono riportati anche eventuali bollini di certificazioni, può significare che un prodotto è vegetale, biologico o particolarmente ecologico e sostenibile. Che ne pensa?

Nelle categorie di cui ha parlato, io mi colloco nell’ultima, ovvero nel cercare la sostenibilità ambientale nei prodotti. Ho lavorato con le più grandi agenzie di certificazione e sono rimasto deluso e amareggiato. Alla fine penso che siano solo delle macchine per fare soldi, non ho trovato lì neppure un minimo di eticità. Prendiamo le certificazioni di prodotti vegani. Ho visto il bollino di prodotto certificato vegano su bottiglie di olio, persino su biciclette. Mi chiedo: quando mai entra in ballo l’animale nella produzione dell’olio di oliva?

Sta dicendo che le certificazioni sono una presa in giro?

Non solo, il sistema delle certificazioni crea una visione distorta della realtà. Queste certificazioni hanno difetti congeniti elevatissimi. Se queste agenzie dicono ad esempio che un prodotto deve avere un minimo del 25% di ingredienti vegetali per essere ammesso (e ricordiamo che sono tutte certificazioni a pagamento), vuol dire che spingi i produttori a rispettare quelle regole piuttosto che quelle etiche generali. Io voglio un prodotto buono, per chi lo compra, per me, per l’ambiente e che sia efficace. Non un prodotto che va bene all’agenzia. Se nel mio prodotto basta il 2% del prodotto biologico per rispettare i valori etici di cui sopra, io me ne frego del 25% delle agenzie di certificazioni. Oppure in un altro caso il parametro è quello che il prodotto sia composto solo da oli essenziali o miscele di oli essenziali. Allora, la Bbc ha pubblicato un articolo in cui si dice che il tea tree oil e quello di lavanda sono dei disturbatori endocrini. Da chimico e da tecnico le dico che ci credo, per vari motivi. Ma bisogna continuare e fare ricerca e a creare un dibattito sano. Le precauzioni dovrebbero essere osservate quando si utilizzano. Per chiuderla, il mio ideale di certificazione è quello composto da una serie di parametri, ne sto proponendo per ora solo 10. Sto sviluppando un tentativo di distribuzione del marchio Ecobiocontrol. Seguo un pensiero semplice: comprerei un prodotto se non inquina, e quando dico così non penso solo all’ambiente esterno, penso anche a me. E che funzioni. Insomma, sto promuovendo oggi la Ecobiocosmesi, per arrivare domani alla EcobioDermocosmesi.

Di cosa si tratta?

Voglio garanzie di compatibilità con la pelle umana dei prodotti che mi metto addosso. Ci stiamo lavorando, con un’associazione di dermatologi che si chiama Skin-eco. Lavoriamo insieme e stiamo valutando la possibilità di unire le forze perché la cosmetica del futuro deve essere questa o non è. Oppure andremo avanti a siliconi.

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