Italia

Per i ragazzi di Torre del Greco cerimonia a casa, senza «passerelle» dei politici

Crollo di Genova «È stato un omicidio di stato, una disgraziata annunciata» commenta Roberto Battiloro, padre di una delle vittime

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 18 agosto 2018

Il bisogno di avere intorno l’affetto di parenti e amici ma anche l’insofferenza per le «passerelle dei politici», le famiglie dei quattro ragazzi morti nel crollo del ponte Morandi hanno rifiutato i funerali di stato e ieri, a Torre del Greco, hanno dato l’ultimo saluto a Giovanni Battiloro, Matteo Bertonati, Gerardo Esposito e Antonio Stanzione. Erano in vacanza diretti in Calabria poi un cambio di programma li ha portati verso Genova, sulla strada per Nizza. Intorno alle 11 di martedì le ultime comunicazioni e poi più nulla.

Su facebook si era sfogato il padre di Giovanni Battiloro, Roberto, che lavora come tecnico alla Rai di Napoli: «Mio figlio non diventerà un numero nell’elenco dei morti causati dalle inadempienze italiane. Non vogliamo un funerale farsa, ma una cerimonia a casa, nella nostra chiesa. È un dolore privato, non servono le passerelle». Ieri ha accusato: «È un omicidio di stato». Un sentimenti condiviso dalla città, stretta tra Napoli e il Vesuvio. All’esterno del casello di Torre del Greco giovedì è apparso lo striscione (poi rimosso): «Antonio, Matteo, Giovanni e Gerardo non è stato il fato ma lo Stato». I feretri sono arrivati nella basilica di Santa Croce intorno alle 13.30 nel silenzio commosso della città in lutto ma, prima, sono stati portati in processione lungo le vie di Cappella Bianchini, il rione di origine dei ragazzi. Al rito hanno partecipato la presidente del Consiglio regionale e il vicepresidente della Città metropolitana. Stamattina a Casalnuovo, in provincia di Napoli, i funerali dell’autotrasportatore Gennaro Sarnataro, precipitato anche lui a Genova mentre effettuava il suo lavoro.

Il sindaco di Torre del Greco, Giovanni Palomba, cerca di smorzare le polemiche e spiega: «Ai funerali di stato ci saranno le quattro bare vuote con le immagini dei ragazzi. I parenti hanno preferito portarli a casa per condividere il lutto con la loro comunità». Giovanni Battiloro aveva 29 anni ed era un videoreporter. Il mondo del giornalismo campano si è stretto intorno alla famiglia. Antonio Stanzione, anche lui ventinovenne, lavorava come fabbro con il sogno di fare il dj. Gerardo Esposito, 26 anni, era tornato da Londra, dove era andato a lavorare. Matteo Bertonati, coetaneo di Gerardo, proseguiva l’attività di famiglia nel campo della floricultura.

Solo all’arrivo in chiesa dei feretri si è rotto il silenzio con i rintocchi delle campane e gli applausi. Dalla folla c’è chi ha urlato «devono pagare tutto». All’esterno un altro striscione rimosso: «Di uno stato strafottente vittime innocenti». Le quattro bare sono state sistemate davanti all’altare. I parenti hanno lasciato alcuni oggetti che ricordano i ragazzi: una chitarra per Matteo, le cuffie da dj per Antonio, un modellino Ferrari per Gerardo. «Morti per incuria» li ha definiti l’arcivescovo di Napoli durante l’omelia. Simona Fossa, cugina di Gerardo Esposito e Antonio Stanzione, ha letto dall’altare una lettera: «Sono vittime dello stato assente, che si mobilita solo a tragedia avvenuta. Se non fosse stato per persone senza competenza e che pensano solo ai loro interessi, avreste trascorso ferragosto a Barcellona». All’uscita dei feretri la piazza antistante la basilica è gremita, vengono lasciati volare i palloncini banchi, i torresi applaudono mentre uno striscione ribadisce: «Non esiste perdono senza giustizia».

È ancora Roberto Battiloro a spiegare: «Ora è il momento del dolore, condiviso con chi non poteva raggiungere Genova. Il nostro non è un No ai funerali di stato, ma abbiamo voluto mostrare attenzione a un territorio che ha fatto sentire forte la propria vicinanza». Per poi attaccare: «È un omicidio di stato, una disgraziata annunciata nella quale hanno perso ingiustamente la vita tante persone. La magistratura dovrà accertare perché nessuno è intervenuto nonostante i ripetuti allarmi. Non devono essere considerati come dei numeri, come la vittima numero 36 o 37. Porterò avanti una battaglia per cercare la verità».

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