Per i migranti l’alternativa c’è
Tra le molte insidie della discussione pubblica sul tema dell’asilo e dell’immigrazione, c’è quella – velenosissima – che porta a raffigurare la situazione come uno scenario nichilista senza salvezza, senza […]
Tra le molte insidie della discussione pubblica sul tema dell’asilo e dell’immigrazione, c’è quella – velenosissima – che porta a raffigurare la situazione come uno scenario nichilista senza salvezza, senza […]
Tra le molte insidie della discussione pubblica sul tema dell’asilo e dell’immigrazione, c’è quella – velenosissima – che porta a raffigurare la situazione come uno scenario nichilista senza salvezza, senza rimedio e senza via d’uscita.
Non è affatto così. In questa materia, politiche razionali e intelligenti, pur ardue e faticose, sono possibili e previste tra le pieghe dalle normative e delle convenzioni europee; e alcune di esse sono state già sperimentate e diffusamente applicate con un certo successo.
Nel 2013, all’indomani del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre, avanzammo una serie di proposte molto concrete per affrontare la crisi umanitaria nel Mediterraneo. L’obiettivo era quello di evitare la lunga e dolente teoria delle morti in mare e l’intenzione quella di indurre l’Unione europea a farsi carico della questione migratoria adottando meccanismi di condivisione e solidarietà tra gli Stati.
Innanzitutto fu elaborato un piano di ammissione umanitaria, molto dettagliato e circostanziato, che prevedeva canali legali e sicuri verso l’Europa per i profughi bisognosi di protezione: un piano ancora attuale e sempre più necessario. La seconda proposta riguardava la possibilità che il governo italiano ricorresse alla concessione della protezione temporanea ai profughi sbarcati sulle nostre coste in base a quanto previsto dalla direttiva 55 del 2001. Ed è, questa, una opportunità estremamente importante che va presa in serissima considerazione al più presto. Quella direttiva, infatti, stabilisce standard minimi per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio, nonché la promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che accolgono gli sfollati. La durata della protezione temporanea è di un anno e gli Stati membri sono obbligati a indicare la propria capacità di accoglienza; e a cooperare per il trasferimento della residenza delle persone da uno Stato all’altro.
Nei giorni scorsi ho riproposto in molte sedi l’adozione di questo provvedimento, e così hanno fatto Radicali italiani e Comunità di Sant’Egidio, come alternativa all’idea, difficilmente praticabile e da scongiurare, della chiusura dei porti italiani alle navi dei profughi. A ulteriore sostegno della richiesta sulla protezione temporanea, da avanzare rapidamente in sede Ue, si ritrova nella storia recente del nostro Paese un concreto e istruttivo precedente. Nel 2011 il governo Berlusconi di fronte agli arrivi, già allora consistenti, di profughi provenienti dalla Tunisia, concesse «un permesso di soggiorno per motivi umanitari», della durata di 6 mesi, rinnovati in seguito per un altro anno. Qualora una richiesta analoga del governo italiano al Consiglio europeo non venisse accolta, si potrebbe comunque procedere all’adozione a livello nazionale di un provvedimento simile a quello del 2011. A marzo di quell’anno, alcune migliaia di tunisini entrarono o provarono a entrare in Francia muniti di permesso temporaneo valido per attraversare le frontiere: si aprì un contenzioso con l’Italia e la questione si impose a livello europeo. A maggior ragione oggi, in un contesto molto più delicato, precario e complesso, porre in questi termini la necessità di una presa in carico della gestione dei flussi da parte di tutti gli Stati membri avrebbe un impatto forte, senza mettere a rischio l’incolumità delle persone in fuga.
Velleitario? Poco credibile? Ma davvero qualcuno può pensare che la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari sia meno realistica della cupa distopia della «chiusura dei porti italiani»?
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