Politica

Per gli «anticasta di governo» una mannaia a doppio taglio

Per gli «anticasta di governo» una mannaia a doppio taglioLuigi Di Maio e Vito Crimi – LaPresse

Referendum Con la vittoria del Sì i parlamentari senza speranza di ricandidatura potrebbero sentirsi autorizzati ad agire autonomamente

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 20 settembre 2020

«Il Movimento 5 Stelle di una volta era grande fautore della democrazia diretta, o partecipata. Questa deve partire necessariamente dalla democrazia rappresentativa, allargando l’accesso dei cittadini ai processi decisionali tramite tutti gli strumenti di partecipazione previsti. Abolire o diminuire i livelli di rappresentanza invece non può che portare a una pericolosissima oligarchia populista, e il M5S ha dimostrato di andare in quella direzione». Comunque la si pensi, il giudizio netto di Paola Nugnes, senatrice fuoriuscita dal M5S, evidenzia le contraddizioni di un soggetto politico che sta cambiando pelle in coincidenza con il referendum sul taglio dei parlamentari. Ciò significa che da lunedì pomeriggio i grillini potrebbero in un primo momento cantare vittoria, e rivendicare di essere stati promotori di una riforma costituzionale ratificata dai cittadini. Ma paradossalmente tutto ciò non aiuterà a sciogliere i nodi e le contraddizioni che da mesi imbrigliano il M5S e di rimando la maggioranza di governo. Anzi, nel giro di poche settimane potrebbe complicarle ulteriormente e precipitare addosso ai pentastellati.

Il fatto è che comunque vada, per il Movimento dalla prossima settimana si apre una nuova fase. Dall’impostazione «leggera» e indignata, che ha consentito di raccogliere voti presso ogni settore sociale tagliando trasversalmente gli schieramenti di destra e sinistra, il M5S si sta faticosamente spostando verso un modello più strutturato. Il M5S deve diventare una forza affidabile, come ha spiegato in campagna elettorale Luigi Di Maio, che risponde meglio alle esigenze dettate dall’essere al governo. Lo schema è semplice quanto rischioso: puntare tutto sul taglio dei parlamentari per mantenere il pedigree anti-casta ma essere anche forza trainante della maggioranza. Allo stesso tempo il M5S dovrà fare i conti con un fatto non da poco: ha il gruppo più nutrito in parlamento ed esprime il presidente del consiglio ma non raccoglie consensi significativi in nessuna delle regioni in cui si vota. Se questo dato venisse confermato, ad esempio, è difficile che non se ne tenga conto nel risiko delle prossime amministrative, a partire dal voto di Roma e Torino, dove peraltro le divisioni interne sono difficili da nascondere sotto il tappeto della realpolitik.

Tuttavia, proprio come accadeva agli albori del M5S, Di Maio potrà rivendicare di aver portato a casa, con metodi schematici e prospettive non chiare, la riduzione lineare del numero dei rappresentati. Nei pensieri inconfessabili dei vertici grillini, tutto ciò rappresenta un feticcio propagandistico che ha a che fare anche con una questione molto prosaica. Dalle traversie di questi mesi e soprattutto dalla convulsa presa di coscienza dell’ultimo anno dei tanti (più di 300) parlamentari, Di Maio e i suoi hanno imparato che ammaestrare troppi eletti i non è facile. Il consesso di deputati e senatori rischia pericolosamente di assomigliare all’assemblea nazionale che il M5S non ha mai contemplato per paura di divisioni interne e necessità di tenere le fila dell’organizzazione dall’alto. Dunque, si dice dalle parti del futuro direttivo 5S, se ci saranno gruppi parlamentari più ridotti da addomesticare, allora ci saranno anche meno problemi interni.

Persino questa mannaia nell’immediato potrebbe non bastare. Da domani diversi parlamentari potrebbero sentirsi autorizzati ad agire autonomamente, privati della speranza di una ricandidatura e spinti dalla necessità di massimizzare gli esiti della seconda metà della legislatura, in vista di un rimpasto o magari di nuovi equilibri politici. Sullo sfondo permane il conflitto con chi, come Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista, pretende di tornare alle origini del M5S. Da qui lo scontro che nessun taglio dei parlamentari può sventare: da una parte chi non accetta maggioranze precostituite e non intende darsi un’organizzazione formale che prescinda dalle aleatorie indicazioni della piattaforma Rousseau, dall’altra la gran parte della pattuglia di governo che ha necessità di fornire garanzie, scenari certi, percorsi affidabili a compagni di strada e alleati.

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