In Italia il rischio della povertà colpisce più di una persona su quattro ed è in aumento rispetto al 2020. Lo sostiene l’Eurostat: è al 25,2%, in leggero aumento (+0,3 punti percentuali) rispetto al 2020 (24,9%). Tra i Paesi membri dell’Ue, spiegal’ufficio statistico europeo, il tasso più alto si registra in Romania (34%), Bulgaria (32%), Grecia e Spagna (entrambe al 28%). Invece, i livelli più bassi sono presenti nella Repubblica ceca (11%), Slovenia (13%) e Finlandia (14%). Nel 2021 95,4 milioni di persone nell’Ue, pari al 21,7% della popolazione, erano a rischio povertà o esclusione sociale, con un leggero incremento rispetto al 2020 (94,8 milioni, 21,6%). Questo aumento è stato il prodotto della pandemia.

L’Italia si colloca al quinto posto e sta cercando di raggiungere la Grecia e la Spagna. Da queste aride cifre si comprende un’importante tendenza. Insieme alla Grecia e alla Spagna, l’Italia è stato il paese tra i più colpiti dalla crisi sociale, economiche finanziaria iniziata nel 2007. Due crisi dopo, nel 2022, ha peggiorato la condizione di un’amplissima fascia di popolazione. A dispetto delle retoriche sul «reddito di cittadinanza, tra l’altro basate su un uso politico e strumentale di statistiche comunicate male e recepite peggio, questo andamento dimostra che i rimedi presi sono insufficienti per contenere le nuove povertà.

L’Osservatorio sul precariato Inps ieri ha confermato un flusso di dimissioni dal lavoro, leggermente superiori al periodo pre-pandemico. Oltre un milione di lettere di rinuncia al posto di lavoro sarebbero arrivate con un aumento del 31,7% rispetto allo stesso periodo del 2021 (erano 820 mila). Il fenomeno, si ricorda, è compatibile con il funzionamento del mercato del lavoro all’indomani della fine del lockdown e prima della nuova crisi.