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Per Doha e Riyadh passa la sconfitta degli anti Assad

Per Doha e Riyadh passa la sconfitta degli anti AssadMiliziani siriani di opposizione – LaPresse

Golfo e Siria La crisi tra Arabia saudita e Qatar si riverbera sulle opposizioni, sempre più divise, costrette ad arretrare per l'avanzata di Damasco. I raid israeliani al confine sud e il bellicismo trumpiano sono la dimostrazione dell'incapacità di sconfiggere il presidente siriano

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 1 luglio 2017

Il ragionamento di Abdelbari Atwan, noto analista arabo e direttore di Raya al Youm, è semplice. Se i soldati siriani avanzano rapidamente sul campo di battaglia e il presidente Bashar Assad, con l’appoggio della Russia, si rafforza ogni giorno di più sul piano politico e diplomatico; se il Qatar e l’Arabia saudita, che finanziano e armano fazioni jihadiste e qaediste in Siria, sono divisi e sull’orlo di una guerra; se l’opposizione sta vivendo i suoi giorni peggiori, perché mai Damasco dovrebbe ricorrere all’uso armi chimiche mettendosi contro mezzo mondo?

La risposta a questo interrogativo è che l’amministrazione Trump, accusando la Siria di essere «sul punto di usare le armi chimiche», da un lato conferma il fallimento, evidente, della sua strategia e dei suoi alleati occidentali e arabi volta a rovesciare Assad; e dall’altro segnala di essere pronta, con ampie forze, a scendere sul campo di battaglia contro Damasco e contro l’Iran, il suo obiettivo principale, che in Siria rafforza il suo ruolo e la sua presenza.

A ben poco infatti sono serviti i recenti raid aerei Usa antigovernativi sulla zona di Tanaf. L’esercito siriano e i suoi alleati continuano a liberare crescenti porzioni di territorio dall’Isis e dalle fazioni jihadiste sponsorizzate da Washington e dai petromonarchi.

La sconfitta del fronte internazionale e regionale contro Damasco è resa chiara anche dall’intensificarsi dei raid aerei israeliani in Siria, ufficialmente in risposta a colpi erranti di artiglieria che cadono sul versante occupato del Golan siriano, che sono il riflesso del nervosismo ai vertici dell’establishment politico e militare dello Stato ebraico di fronte agli sviluppi del quadro militare.

Sta tramontando, sotto l’avanzata dell’esercito siriano e dei suoi alleati, il progetto di costituire nella Siria meridionale una sorta di «zona cuscinetto» sotto il controllo di gruppi islamisti e jihadisti schierati contro Bashar Assad e «amici» (non dichiarati) di Israele.

All’orizzonte ora si intravede una Siria meridionale con una nutrita presenza di combattenti del movimento sciita libanese e di unità iraniane dei Guardiani della rivoluzione, a due passi dalle postazioni israeliane nel Golan occupato.

Donald Trump, innescando con il suo recente viaggio a Riyadh lo scontro in atto tra Arabia saudita e Qatar, ha contribuito in modo decisivo ad indebolire le organizzazioni, fazioni e gruppi islamisti radicali e jihadisti che combattono contro le truppe siriane.

La frattura del Golfo sta approfondendo divisioni già ampie, figlie della rivalità tra Doha e Riyadh che assieme a Turchia e Stati Uniti, hanno armato e finanziato «il jihad contro l’alawita Bashar Assad» per «riportare la Siria sotto il controllo sunnita» e sganciarla dall’alleanza con l’Iran sciita.

Il Qatar ha sponsorizzato in ogni modo un numero enorme di organizzazioni, dai Fratelli musulmani ad Ahrar al Sham fino all’ex Fronte Nusra, qaedista e responsabile di attentati terroristici sanguinosi. L’Arabia saudita, entrata in gioco in Siria dopo il Qatar, ha fatto altrettanto ottenendo però dall’Occidente il via libera al sostegno, con soldi e armi, a gruppi ugualmente radicali.

Un esempio è l’appoggio aperto di Riyadh al Jaish al Islam, dominato dal clan salafita degli Alloush, ideologicamente simile all’Isis e ad al Qaeda ma che i governi europei, Francia in testa, descrivono come «moderato» tanto da affidargli la guida della delegazione dell’opposizione siriana ai negoziati con Damasco.

La tensione è in rapido aumento. In passato non sono mancati gli scontri armati tra fazioni che presto potrebbero essere chiamate a dimostrare la loro fedeltà ai rispettivi sponsor. «Questo conflitto avrà sicuramente un impatto significativo… Se (lo scontro tra Doha e Riyadh, ndr) durerà a lungo, allora sarà posta più pressione e i vari gruppi saranno chiamati scegliere un lato o l’altro», ha spiegato un jihadista al portale arabo d’informazione Middle East Eye.

Il mese scorso, a Ghouta, ad est di Damasco, almeno 95 miliziani sono rimasti uccisi in combattimenti tra Jaish al Islam e Failaq al Rahman e scontri simili potrebbero scoppiare nel fronte Hay’at al Sham, guidato dall’ex al Nusra e che include gruppi pagati sia dal Qatar che dall’Arabia saudita.

Uno sviluppo che finirebbe per facilitare la liberazione da parte dell’esercito siriano di un’area strategica a ridosso della capitale. Intanto a nord esponenti kurdi esprimono una moderata simpatia all’Arabia saudita e condannano il Qatar che, alleato della Turchia, boicotta Unità di Protezione Popolare (Ypg) e Pkk.

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