Più che la pistolettata di Sarajevo evocata da Enrico Letta sembra l’attentato di Dallas contro John F. Kennedy: non si sa bene da quale parte sia arrivato il colpo che ha fatto cadere il governo Draghi e scatenato l’implosione della legislatura e del campo largo di centrosinistra, ma lo sconquasso è avvenuto e il Movimento 5 Stelle ne è considerato responsabile. Non il solo, visto che lo stesso Letta ha fatto notare via Twitter al capogruppo del Partito popolare europeo Manfred Weber che proprio Forza Italia, espressione del Ppe in Italia, ha scelto di mandare casa Mario Draghi.

DAVANTI ALLA direzione del suo partito, tuttavia, il segretario dem ha ammesso che c’è un problema anche con il Movimento 5 Stelle. «È evidente che il voto di ieri impatta molto fortemente» sulla composizione delle alleanze. Il Pd deve fare i conti con le necessità del Rosatellum, tanto che si comincia a fare una distinzione tra alleanze «tattiche» e «strategiche». Quella coi 5 Stelle, adesso, dovrebbe essere declassificata alla prima casistica. «Discuteremo e decideremo della conformazione della nostra proposta – ha proseguito Letta – sul nostro progetto e programma, sulle modalità con cui affronteremo il voto, partendo dal fatto che abbiamo questa legge elettorale. Compagni di strada e modalità con cui questo avverrà verranno decisi insieme».

PIÙ TARDI, parlando al Tg3, usa parole più dure. Queste: «La differenza creata con il M5S lascia un segno e difficilmente sarà ricomposta. Lo dico molto francamente, il gesto di ieri e quello che è accaduto in questi giorni è sostanza e non forma».

I RENZIANI di Italia Viva e gli ex renziani rimasti nel Pd di Base riformista spingono il Pd a dare vita a un’alleanza che si muova sul solco dell’«agenda Draghi» ed eviti di allearsi con i «sovranisti e populisti» che hanno mandato a casa l’esecutivo. Secondo Andrea Marcucci, ad esempio, «il riferimento ormai quasi obbligato sono i moderati Renzi, Calenda, Di Maio, i liberali che hanno lasciato Forza Italia, senza dimenticare il ruolo che può svolgere Sala, e la presenza di ecologisti e civici».

DI QUESTO spettro dunque fa ormai parte anche Luigi Di Maio, che aveva lanciato solo poche settimane la costruzione del suo partito e che ora si ritrova in piena campagna elettorale. Oltretutto a causa di una crisi di governo che ha contribuito a causare con la sua scissione. Ora ribadisce il suo posizionamento centrista con parole che ricalcano quelle dei renziani. Alle elezioni «sicuramente non vado con quelli che hanno fatto cadere questo governo, che hanno deciso di stare dalla parte degli estremismi e dei sovranismi – sostiene il ministro degli esteri – Mi auguro si possa essere in tanti dalla parte dell’agenda riformatrice di Mario Draghi». Quanto al M5S, per Di Maio ormai è da considerare soltanto «il partito di Conte». «Quella che io avevo contribuito a fondare era una forza politica che creava governi, non li sfasciava», dice ancora l’ex capo politico grillino ai cronisti ribadendo la natura governativa dei pentastellati in questa legislatura.

TRA I 5 STELLE non si dà affatto per chiusa la partita delle alleanze. Ieri Conte ha partecipato alla riunione dei deputati. Qui Davide Crippa, il capogruppo che ha lavorato per votare la fiducia al governo, ha chiesto conto del clima di caccia alle streghe. «Chi la pensava diversamente è stato attaccato, demonizzato, trattato con ferocia – ha sostenuto Crippa – È stato vergognoso, eppure fino a ieri pomeriggio tutte le opzioni erano sul tavolo, anche quella di dare la fiducia al governo». In effetti, prima che lo scenario si sgretolasse per via della fuga in avanti del centrodestra Conte era orientato a proporre la soluzione dell’appoggio esterno. «Il presidente del Consiglio è stato sprezzante, è stato molto aggressivo incomprensibilmente e ingiustamente», ribadisce l’avvocato in serata su Rete4. Sull’alleanza si mostra sicuro di sè: «Il campo largo c’è ancora? Noi siamo una forza progressista, ma non per autodefinizione: siamo oggettivamente progressisti perché guardiamo ala giustizia sociale, alla transizione ecologica e digitale, e abbiamo un manifesto avanzato di misure in questa direzione. Chi vuole lavorare su queste misure, può ritrovarsi a confrontarsi con noi. Poi spetterà al Pd fare le sue scelte».

I PARLAMENTARI del M5S si trovano comunque spiazzati dal voto a settembre: nei giorni precedenti allo showdown molti affermavano di essere certi che la legislatura sarebbe comunque arrivata alla sua fine naturale. Ancora ieri, parlando ai deputati, Conte ha detto che il M5S non si sarebbe messo di traverso di fronte a una prosecuzione in qualche forma del governo Draghi. Consideravano di avere il tempo di fare qualche giro di giostra all’opposizione per riposizionarsi di fronte all’opinione pubblica.