Visioni

Per chi suonano le campane

Per chi suonano le campaneJames Stewart e Kim Novak in una scena di «Vertigo» di Alfred Hitchcock

Immaginari «Voci» divine, annunciatrici di calamità o vittorie, un percorso nella storia dello strumento musicale

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 15 gennaio 2021

Capodanno 2021, il passaggio verso la mezzanotte è scandito, in diverse città italiane, dal suono delle campane per iniziativa di parroci comunicativi, suono che si è fatto largo nell’ingorgo acustico delle esplosioni pirotecniche tanto liberatorie quanto fatali per liberi pennuti e pet. Al di là delle personali devozioni, il rintocco è suonato anomalo e suggestivo, carico di promemoria come fu per Cenerentola. Non è chiaro se i nostri cocchi torneranno zucche o in cosa altro si compirà la metamorfosi del secondo dei Virulenti anni Venti. Intanto è tornata la scampanata, e non solo nelle zampe dei jeans e nelle maniche dei maglioni.

IL PRINCIPALE messaggio dello strumento idiofono per eccellenza ha portata spirituale: lo era quello veicolato dalle prime campane come le intendiamo oggi, quelli cinesi risalenti almeno ad un paio di millenni prima della nascita di Cristo, come pure dalle tibetane, notoriamente intonate alla vibrazione del cosmo.
L’invito alla preghiera è sollecitazione sonora nelle principali religioni monoteiste: attraverso la campana con batacchio (invenzione pare di San Paolino da Nola, patrono di Quasimodo e Fra Martino, insomma di tutti i campanari) per i cristiani, lo shomer, corno di montone ritorto come una conchiglia per gli ebrei e la voce del muezzin nell’Islam.
La campana inoltre suona storicamente per annunciare qualcosa, nei casi migliori liberazione o rinascita, per esprimere allerta, segnalare un pericolo e chiamare a raccolta una comunità per affrontarlo insieme.
È trascinante quando le campane sono sciolte come le briglie in una corsa pazza di gioia e suonano a distesa; allora anche chi non ha vissuto il mondo antico raccolto attorno a un campanile può percepirne la potenza di deja vù del tempo in cui i rintocchi segnavano le ore del lavoro nei campi e del riposo e indicavano quelle più pericolose per trovarsi in cammino. I suoni allora si chiamavano per nome ed erano perlopiù legati ai tempi della preghiera: Doppio, Ave Maria, Cenno.
Dei lugubri rintocchi della campane a morto si sa, e ne sapeva pure Ernest Hemingway che li ha messi nel titolo del suo romanzo più noto, mutuandolo da un passaggio del sermone di John Donne «And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee» dove to toll è il verbo che esprime il battere lento connesso a cerimonie funebri.
Le campane suonate a martello reclamavano nel passato prossimo uomini validi e arruolabili per domare incendi, aiutare in caso di frane e calamità assortite, scandivano coprifuoco e annunciavano pestilenze; addirittura in certe comunità di montagna la scampanata aveva il compito di cacciare i temporali e le loro conseguenze elettriche: fungevano da parafulmini sonori, le campane, e spesso recavano iscrizioni incise, come accadeva anche per gli alberi maestri dei pescherecci, per scongiurare rovesci di clima e fortuna. Formule come «Recedat spiritus procellarum» (lo spirito delle tempeste si allontani) oppure «Defunctos ploro-nimbos fugo-festaque honoro» (piango i defunti, fuggo i temporali e onoro le feste).

PRIMA DI PASQUA e in guerra le campane storicamente tacciono; in tempi bellici sono state requisite forzatamente per essere convertite in armi da offesa, lo strumento che sempre dà la stessa nota etc etc.
A rompere il dominio sonoro imposto dalla religione avevano provato, con l’arrivo delle truppe repubblicane, le fanfare che accompagnavano l’erezione, poco duratura, degli Alberi della libertà con cappelli giacobini a mo’ di puntale, testimoni laici di investiture di magistrati come di matrimoni civili; le campane sono poi tornate a suonare con la Restaurazione e con esse la voce di Dio, e quindi del potere pontificio. Tornano e rimangono impresse a lungo nei paesaggi sonori (ambienti hi fi, secondo la definizione di Raymond Murray Shafer, quelli con un basso rumore di fondo ambientale) anche in contesti poetici. Per Pascoli le campane del Vespro sono voci di tenebra azzurra che emergono dal silenzio nelle ore in cui, come direbbe lui, le voci si accapannano: Don Don e mi dicono, Dormi!
Porterebbe lungo fuoripista deliziosi il suono dei campanacci, parenti proletari delle ambasciatrici divine, e varrebbe la pena seguirlo per arrivare ai rituali della scampanata italiana, della Charivari in Francia, della rough music in Inghilterra e della Katzenmusik in area tedesca: nomi diversi che indicano l’identico rumoreggiare notturno per protesta anticamente proposto per denunciare violazioni di costumi dentro una comunità. Su tutti quelli derivanti da accoppiamenti ritenuti poco giudiziosi: vuoi per lo scarto d’età tra gli sposi, vuoi per uno stato di vedovanza troppo recente.
Alcuni moduli espressivi sono passati nei cortei sindacali, nelle jacqueries del femminismo, nelle curve degli stadi, fino ai Fridays for Future ( Marco Fincardi in Derisioni Notturne- Racconti di serenate alla rovescia, edizioni Spartaco).
Di echi campanari veri e propri è pieno il mondo del cinema che se ne è servito visivamente e nelle soundtrack: tra i lavori più significativi Andrej Rublëv di Tarkovskij, dove uno degli otto capitoli è dedicato alla realizzazione di una campana, resa ardua dal fatto che tutti i fonditori sono morti di peste, e al suo suono perfetto che sarà capace di restituire la voce al pittore di icone protagonista del film.

UN SUONO che sconfina spesso nelle regioni della leggenda: se in Italia non sono rari gli episodi di campane fantasma è Herzog a raccontare nel documentario Rintocchi dal profondo tra le vicende di fede e superstizione in Russia anche quelle legate alla leggendaria città di Kitez, posta da Dio sul fondo di un lago profondissimo per sottrarla all’invasione mongola: si narra è che ancora si possano sentire i rintocchi della campana della cattedrale provenire dal fondo dell’acqua.
Il campanile (aggiunto in postproduzione) è il set fatale della celeberrima scena finale di Vertigo – La donna che visse due volte, anche se la pellicola dove le campane rintoccano più indimenticabili e agghiaccianti è L’esorcista il cui il tema musicale è Tubular Bells tratto dall’omonimo album di Mike Oldfield. Le campane, che pure ballano al collo dell’animale satanico per eccellenza, la capra, sembrano infatti efficaci strumenti per cacciare il Diavolo quasi come crocefissi ed acqua santa. Infine, alle campane è stato affidato due volte un omaggio a David Bowie: all’indomani della sua scomparsa, il 10 gennaio di cinque anni fa, quelle del duomo di Utrecht hanno scandito il ritmo di Space Oddity. Quest’anno, al suo compleanno l’8 gennaio, il campanile di una chiesa di Amsterdam ha eseguito Life On Mars? Insolito ma appropriato che il saluto al Duca Bianco dagli occhi bicolori abbia vibrato nella volta celeste, attraverso i suoi brani spaziali.

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