Essere madre in Italia: dono e condanna. Alcune donne scelgono la carriera, altre la famiglia. Il problema sta in questo bivio: quando una cosa esclude l’altra e la scelta diventa obbligata. A rendere il percorso verso la realizzazione personale e professionale sempre più impervio non sono solo i fattori culturali, ma anche la mancanza di servizi e disparità salariali tra uomini, donne e mamme. I dati parlano chiaro, l’Italia è uno dei Paesi ad alto reddito con un livello di disuguaglianza di genere tra i più elevati al mondo: quattordicesima nell’indice europeo sulla parità tra i sessi secondo il Gender Equality Index di Eige e quarantunesima nella classifica Ocse sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Professoressa Chiara Saraceno, lei che la studia da una vita, come definirebbe la condizione lavorativa della donna in Italia oggi?
Non facile e molto differenziata. È aumentata la disuguaglianza tra le donne, oltre che quella di genere. Siamo un paese in cui i tassi di disoccupazione femminile sono molto diversificati: sia per livello di istruzione, sia tra nord e sud. E questo è drammatico. In generale, chi ha un basso grado di istruzione fa più fatica a entrare nel mercato del lavoro, ma per una donna riuscire a mantenere il proprio impiego dipende anche dal fatto che abbia una famiglia o meno. Per quelle più istruite, invece, esiste sì una disuguaglianza salariale con i corrispettivi uomini, ma i benefici sono maggiori rispetto alle altre donne.

Gli asili gratis sarebbero una soluzione a questi problemi?
Non basta. Già adesso gli asili nido sono pagati sulla base del reddito. La retta è alta per le fasce medie, dal momento che non c’è differenza tra chi guadagna duemila euro di stipendio e chi ne prende quattromila. Il vero problema è che mancano gli asili. Fa un po’ridere che si offra un servizio gratuitamente in Sicilia dove la copertura è al di sotto del 10 per cento.

Le ultime statistiche parlavano di un milione di bambini lasciati fuori dai giardini d’infanzia. Quanto influisce questo sulla vita delle donne?
Il numero di scuole materne aumenta nelle zone in cui ci sono più mamme che lavorano. Se la disoccupazione è alta, invece, c’è una minore richiesta di educatori, perché le mamme possono occuparsene a tempo pieno. Ma è un circolo vizioso: se il tasso di occupazione è più basso, è più facile che una donna, quando diventa madre, resti a casa. Così facendo, le politiche sociali finirebbero per accentuare le disuguaglianze, invece che abbatterle. Il punto è questo: se una mamma può accudire personalmente suo figlio perché non lavora, non vuol dire che non abbia bisogno di un asilo, o di un doposcuola. È importante che questi servizi ci siano, sia per le mamme, che per i bambini. Sono indispensabili per superare il divario educativo e occupazionale.

Quali sono i fattori che pesano sulla scelta di una donna di lasciare il lavoro per occuparsi della famiglia?
Quando nasce un bambino, sulle scelte della famiglia tornano a imporsi i fattori culturali. Nonostante oggi molti padri giovani siano presenti, quando si deve decidere chi debba fare carriera e chi debba stare a casa, sono le donne che scelgono di ridurre l’orario di lavoro volontariamente. Magari una quota di queste è stata anche incentivata a uscire dal mondo del lavoro, tra mobbing e messaggi trasversali: anche se oggi non ci sono più le dimissioni in bianco, se una donna non trova il proprio posto al rientro dalla maternità, se ne va.

Cosa ne pensa dei provvedimenti proposti dal governo per dare sostegno alle famiglie con figli, come il family act, il bonus bebè e i congedi parentali?
Trovo che oggi, ma era vero anche nell’orribile governo precedente, il tema stia un pochino entrando nel discorso politico. Non c’è partito che dica “no, non bisogna farlo”. Il conflitto è su chi se lo voglia intestare, e speriamo che facciano davvero qualcosa. Mi sembra che l’unico interesse attualmente sia non toccare l’Iva e quota cento. Ma finalmente qualcosa si sta muovendo, il contesto è più trasversale. Tuttavia mi sarebbe piaciuto che qualcuno avesse detto: “aumentiamo il numero degli asili”. Mi sono sembrate proposte un po’ superficiali. Se i politici prima si informassero, guardassero i dati e capissero dove sta il problema, sarebbe meglio. È inutile offrire l’asilo gratis a una mamma palermitana, se l’asilo non c’è.

Quali provvedimenti servirebbero ora?
Ho visto che c’è una proposta che riguarda un “fondo famiglia”. La dote statale per usufruire dei servizi va benissimo, ma di quali servizi stiamo parlando? Lo stato deve provvedere all’offerta, preoccupandosi soprattutto della qualità educativa. Il problema non riguarda solo le mamme, ma anche i bambini, soprattutto quelli più disagiati. Fornire accesso a servizi validi, non necessariamente pubblici, ma per lo meno certificati e che diano vita a un mercato buono, dovrebbe essere al primo posto. Non basta dire: ti do i soldi e ti arrangi.