Che cos’è una biografia filosofica? Leggendo Deleuze. Filosofia di una vita, di Filippo Domenicali e Paolo Vignola (Carocci, pp. 400, euro 37), verrebbe da pensare a una tecnica pittorica. Con una tavolozza composta da dodici capitoli, i due filosofi tracciano le linee del pensiero deleuziano, senza conoscere, come il Paolo Uccello di Schwob, «la gioia di limitarsi all’individuo». La prima sezione mette già in guardia: c’è sempre un Deleuze prima di Deleuze. C’è il Deleuze studente, dietro al Deleuze che divide la propria opera in tre periodi; c’è il Deleuze nietzschiano, prima del Deleuze con Guattari; c’è il Deleuze italiano, prima di Deleuze. Filosofia di una vita. La tela non è mai bianca. Occorre allora che una biografia filosofica sia innanzitutto un metodo di indagine che non ceda alla tentazione di dedurre il pensiero dalle rughe di un volto, né di imputare al primo i segni sul secondo.

MA SE UNA BIOGRAFIA filosofica non si rivolge alla biografia per dedurre da quella la filosofia del suo autore, a cosa guarda nel suo incedere e in che modo fa sì che l’aspetto biografico ne sia parte? Cosa significa immaginare un Deleuze filosoficamente corrucciato? Punti notevoli di un grafico di funzione, gli episodi biografici qui raccolti sfuggono alla trappola del rappresentativo per delineare i tratti dell’esercizio reale del pensiero deleuziano. Pregio assoluto del volume è proprio quello di non raccontare Deleuze l’esemplare o l’eccentrico travestito da ordinario professore, bensì il Deleuze che, leggendo, pone problemi filosofici. Il pacato corrucciamento con il quale Deleuze ci accoglie in copertina sembra allora suggerire che corrucciarsi significa in primo luogo concentrare su di sé gli effetti del gesto filosofico altrui, lasciarsi attraversare dalla potenza di un impersonale. Il sodalizio con Guattari testimonia di tale necessità: sfuggire a se stessi per affermare la propria linea di vita. Dopo essersi soffermato sulle apparenti rette parallele dei solchi sul viso di Deleuze (l’apprendistato nell’ambito della storia della filosofia, le sperimentazioni degli anni ‘70, l’attenzione al fuori della filosofia dal 1980 in poi), il lettore può apprezzare il loro congiungersi, immaginario e insieme reale, nel sorriso del filosofo. Infatti, con le parole di Châtelet, non solo è possibile leggere il «lavoro di Deleuze sulla storia della filosofia come una parodia», ma nel progetto Capitalismo e schizofrenia «a essere parodiata è la storia universale».

IN ALTRI TERMINI, la teatralità che caratterizza il rapporto di Deleuze con la storia della filosofia si apre ora al fuori scena, fino a farsi grand-guignol dello spirito assoluto, riflessione sull’«universalismo dell’inconscio», impensato per eccellenza, perché impensabile, dell’idealismo.
Nell’alleanza con Bene e Kafka, Domenicali e Vignola individuano un ingresso privilegiato al problema filosofico che sottende al volume del 1980. Dalla soglia di quel fuori tracciano un filo rosso che va dalla «geologia della morale» alla Meccanosfera, permettendo al lettore di udire quella voce-musica, composta da suoni anche «gutturali, ripetizioni, gemiti, glossolalie, cantilene», che caratterizza il modo di lavorare di Deleuze in aula ogni martedì mattina. La tensione disindividualizzante della voce che emerge dal pensare-con è oggetto del capitolo dedicato a Foucault. Leggere tutto, attardarsi sulle crisi e sugli eventi, non interpretare ma sperimentare. L’elemento violento rivendicato negli anni di formazione trova adesso una nuova declinazione concettuale nell’inclusione, ossia nel movimento di inflessione attraverso il quale l’evento viene incluso nel concetto.

ANCHE QUANDO IL CORPO impone a Deleuze di sospendere la didattica, il movimento di espansione prosegue attraverso nuove sperimentazioni tecnologiche in cui la voce di Deleuze, sempre più metallica, non smette di intrecciarsi all’Altro. E nel commisto tra severità classica e spensieratezza si impone la domanda: Che cos’è la filosofia?.
È l’esercizio del gusto filosofico, vera e propria «facoltà del coadattamento», il volto operativo del lavoro filosofico e il suo sodalizio inaggirabile con il concreto. Le ultime, commuoventi battute del volume insistono ancora sul pensare altrimenti. Cedendo la parola al vicino di casa storico di rue de Bizerte, i due autori ci restituiscono il loro effetto-Deleuze: frasi iscritte sulla pelle di chi ascolta, custodia senza liturgia della gioia e della forza inaggirabile.