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Penna, pistola, patate, Inferi

Penna, pistola, patate, InferiIl poeta irlandese in uno degli ultimi ritratti

Il "Meridiano" Seamus Heaney Parole-chiave dall’Irlanda insanguinata per tracciare il cerchio di un poeta modernista e classico: l’antologia «definitiva», Mondadori

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 23 ottobre 2016

Il cerchio disegnato dalla poesia di Seamus Heaney in cinquant’anni di carriera – coronata da un Nobel e, fra i tanti altri, dal Premio Virgilio dell’Accademia Nazionale Virgiliana, a Mantova – si apre con «Scavare» (1966), una lirica sulla vanga del contadino che, fuori da simbolismi, vuole testimoniare anzitutto il valore della terra, l’oscura torba natale da cui è generato il poeta; quel cerchio si chiude il 4 marzo del 2013 con la lettura pubblica della postuma «Sul dono di una penna stilografica» qualche mese prima della morte avvenuta inaspettatamente il 30 agosto, all’età di settantaquattro anni, dopo aver presenziato a luglio, al Trinity College di Dublino (dove, tra l’altro, è tuttora in mostra il Book of Kells), a un evento dedicato a Ezra Pound.
In quella occasione non parlò di «vanghe», che per lui si muteranno in «penne», ma dei «compagni» dublinesi di Pound: W. B. Yeats in testa, maestro ideale della scrittura di Heaney, il bardo ‘omerico’ di tutta la nazione, una nazione che agli inizi del Novecento non era ancora in essere. L’ultimo scritto poetico, «Sul dono di una penna stilografica», appunto, fu letto invece alla Baylor University (Texas), nel marzo di quell’anno. Ad allertarci sulla coincidenza in apertura e chiusura del cerchio – e Heaney amava i circoli, soprattutto se celtici – dello strumento di lavoro sovrapposto (vanga/penna) da usare, oltre che con le mani, con l’orecchio e la testa (o la «mente d’aquila» di Yeats), è Piero Boitani nella sua introduzione al «Meridiano» dedicato a Heaney: Poesie Scelte e raccolte dall’autore, curate esemplarmente da Marco Sonzogni (testo inglese a fronte, traduzioni di Massimo Bacigalupo, Luca Guerneri, Gabriella Morisco, Roberto Mussapi, Anthony Oldcorn, Francesca Romana Paci, Gilberto Sacerdoti, Marco Sonzogni, Mondadori, pp. 1344, € 80,00). La «scelta» è quella del 1990, New Selected Poems, aggiornata al 2013.
Dominazione inglese
Si diceva, scavare con la vanga o con la penna («Scaverò con questa»: la penna, Heaney dichiara). Scavare patate, per esempio, che è quello che va facendo il padre contadino nella poesia eponima, mentre il giovane figlio compone lungo il ritmo del suono «aspro» dei colpi nel terriccio con «la tozza penna» impugnata «come una pistola». «Penna», «pistola» (dell’irredentismo), «patate», parola umile, quest’ultima, che tuttavia significò l’unico sostegno a disposizione dei poveri d’Irlanda sotto la dominazione inglese, durata, come è noto, fino alla Guerra civile per l’indipendenza, vinta, sia pur parzialmente, nel 1922. Un sostegno (la patata) che venne meno – di qui la sua importanza! – quando nell’Ottocento si diffuse il virus che infettò quell’unica fonte di alimento, causando la «Grande Carestia», il male che sterminò un popolo e costrinse i sopravviventi a emigrare in America e in Australia. Gli irlandesi che allora erano otto milioni, oggi, nonostante la grande ripresa europeista, sono scesi a quattro. Eppure, sebbene così diminuiti, continuano a produrre genî della letteratura, e non solo in patria.
Heaney, cattolico, è nato nella fattoria di Mossbawm, vicino a Castledawson – terra di torbiere, terra megalitica – nella contea di Derry, Irlanda del Nord, oggi ancora britannica, nonostante il «Remain» del voto a Brexit. Si è poi trasferito nel 1976 a Dublino, anche a seguito dei moti – i cosiddetti Troubles – che videro scontrarsi gli unionisti cattolici e i protestanti lealisti (all’Inghilterra), e sui quali egli ha lasciato testimonianze liriche accorate. Per esempio – fuori dagli episodi che lo coinvolsero da testimone – in «Pietra di Delfi» (Station Island, 1984), che così recita: «Da riportare là fino al tempio in un’alba / quando il mare stende le sue lontane messi solari verso il sud / ed io faccio una nuova offerta mattutina: / che io possa sfuggire il miasma del sangue versato, / governare la lingua, temere l’hybris, temere il dio / fino a che non parlerà con la mia bocca ormai sciolta». In questo modo egli ci rammenta il valore (e il fine) della poesia, quale strumento di riscatto, voce oracolare puntata alla rigenerazione di una comunità. Negli stessi termini aveva parlato Yeats (di fede protestante, e discendente dei colonizzatori) cinquant’anni prima in La torre, il poemetto scritto durante gli eventi violenti del 1919-1922. Yeats, Heaney: due Nobel, due poeti che si impegnarono con la penna contro il sangue versato, e al servizio della nascita e della vita della nazione.
Consolazione della poesia Se, nel giorno della morte di Yeats nel 1939, sull’abisso che si apriva con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, nella sua elegia per il più grande poeta irlandese («In memoria di W. B. Yeats») lo sconsolato W. H. Auden fu capace di scrivere che «poetry makes nothing happen» (la poesia non fa accadere nulla), Heaney, come Yeats, più fiduciosamente le affida invece il compito di trasmettere non solo il verbo dell’impegno civile ma una misericordiosa «consolazione» e «riparazione» al non buon «governo della lingua» e ai malesseri del mondo. Rinnovando la pagina del Modernismo anglo-americano che ha ereditato, egli crede in una musa consolatrice e riparatrice, e lo inizia a credere affondando atavicamente la penna nelle torbiere d’Irlanda, ricche di misteriosi antichi reperti, dove, come in inchiostro in apparenza torbido, giacciono le radici di un’unica nazione non divisa e la fonte di tanta poesia e narrativa irlandese del Novecento, a iniziare dal Celtic Revival promosso a suo tempo da Yeats.
Heaney tuttavia prende un’altra strada rispetto a una celebrazione della mitologia celtica – ormai scoperta da tanti «compagni» di avventura: e quindi non più da «scavare» – ed esplora invece i sepolcreti sommersi nella torba, per trarne un senso valido oggi. Lo fa soprattutto nelle poesie di Una porta sul buio (1969) e Nord (1975). Al contempo, avendo assestato la sua padronanza dei classici antichi, egli riflette, lungo i parallelismi da «metodo mitico» di Joyce/Eliot, sulla loro capacità di incarnarsi in ipostasi appartenenti al presente. È il caso del suo approfondito studio di Virgilio, culminato, oltre che nelle egloghe (per esempio, «Egloga di Glanmore», da Luce elettrica, 2001) – famigliarmente «contadine» a chi per vivere nasce scavando patate –, nella traduzione del Libro sesto dell’Eneide: la discesa all’Ade (per un incontro con l’ombra del padre morto nel 1986), nella quale fa rivivere echi dalla Terra desolata di Eliot, consuonanti con il passato e il futuro (rappresentato, in questo caso, dal tempo dello stesso Heaney). Mi riferisco a «Il ramo d’oro» da Vedere le cose (1991), inclusa solo parzialmente nel «Meridiano».
Irlanda megalitica
E di una discesa agli Inferi – questa volta nella torba natale – si può parlare anche a proposito delle numerose liriche sull’età megalitica dell’Irlanda, un’età primigenia, precedente a quella celtica, e quindi da assumere come unica dimensione storica oggi acquisibile. Ne è esempio «La regina della torbiera» (da Nord), una poesia che ricostruisce la storia del ritrovamento, nella contea di Down (nel 1780), dello scheletro di una donna vestita con ricchezza e ornata da un diadema da regina. A essa è affidato il racconto della sua riemersione alla luce, evento che ella vive con un misto di felicità risorta e di dolore subito dalla violenza dello scavo: «La carie attaccò il mio diadema, / gemme preziose caddero / nella banchisa di torba / come le connessioni della storia. / … / Il mio teschio ibernava / nel nido bagnato dei miei capelli. / Che saccheggiarono. / Fui rasata / e spogliata / dalla vanga di un tagliatore di torba / che mi coprì di nuovo / … / Finché lo corruppe la moglie di un pari. / La treccia dei miei capelli, / cordone ombelicale / di torbiera, era stata recisa / e io sorsi dal buio, / ossa frante, cranio-ceramica, / piccoli sprazzi di luce sulla riva». Si noti la pietas dello scavatore di torba, poi corrotto dai dominatori, echeggiante, circolarmente, lo sforzo duramente bucolico dello scavatore di patate. Nel «Commento» si viene invitati a una riflessione più politica, ricordando la mitica Sean-Bhean Bhoct, la «povera vecchia» (per esempio, la «lattaia» di Joyce), rappresentante l’Irlanda soggiogata e pronta a risorgere.
Il colpo di vanga che ha ferito il passato dell’Irlanda resta in memoria, e dalla memoria risorge periodicamente tramite la penna del poeta. Heaney è, per ora, l’ultimo a trasmetterla al mondo, con discrezione e sapienza, perché non si dimentichino le falle della Storia.

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