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Pemex privatizzata, è rivolta

Pemex privatizzata, è rivoltaMessico, in Parlamento il Prd vota contro – Reuters

Messico Il Parlamento approva le modifiche istituzionali che aprono il settore energetico agli investimenti esteri

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 15 dicembre 2013

Con una velocità vertiginosa -un voto-maratona di 72 ore- le due camere del Parlamento messicano hanno approvato giovedì i cambiamenti costituzionali che permetteranno allo Stato di aprire il settore energetico agli investimenti esteri. La Pemex (Petróleos Mexicanos), monopolio creato 75 anni fa per volontà del presidente Cárdenas , cessa così di essere il simbolo dell’indipendenza (energetica) del Paese, tra forti proteste popolari e un acuto scetticismo sul futuro (energetico e politico) del Paese.
Con questa misura, fortemente voluta dal presidente, Enrique Peña Nieto, il Messico si mette in linea con buona parte degli Stati dell’America latina, regione che si colloca al secondo posto nella classifica delle riserve mondiali di petrolio e che ha progressivamente aperto la porta agli investimenti esteri, cedendo parte di quel controllo statale che era visto- e per alcuni stati continua ad esserlo- come una componente della sovranità nazionale di fronte all’enorme potere delle grandi compagnie petrolifere.
I governi di Venezuela, Bolivia ed Ecuador sono i portabandiera della linea politica che ritiene fondamentale il controllo statale delle proprie fonti energetiche come garanzia dell’indipendenza politica. In Venezuela, membro dell’Opec, il settore energetico (Petróleos de Venezuela compreso) fu nazionalizzata negli anni Settanta dello scorso secolo e dal 2001, per volontà dell’allora presidente Chávez, fu promulgata la Ley de Hidrocarburos che rafforza la posizione dello Stato venezuelano. Nel 2007, infine, il governo ha nazionalizzato le compagnie che operavano nella Faja dell’Orinoco (ricca di scisti) e impose uno schema di alleanze pubblico-privato per garantire che la maggioranza azionaria sia sempre dello Stato venezuelano.
In Bolivia, il presidente Morales ha promosso la nazionalizzazione degli idrocarburi nel 2006 e successivamente, 2010 e 2012, ha deciso l’espropriazione delle attività di una serie di compagnie, le spagnole Iberdrola e Red Eléctrica de España, la francese Gdf Suez, la britannica Rurelec Plc. Il governo di La Paz, però, ha firmato accordi con compagnie petroliefere straniere, permettendone l’attività ma come socie minoritarie dello Stato.
La stessa poltica è applicata dall’Ecuador, pure membro dell’Opec, dove il settore energetico è considerato un asset strategico dello Stato, che ne mantiene il controllo. Le imprese private possono accedere al settore petrolifero mediante licitazioni e con contratti di «prestatori di servizi».
Scelte opposte sono state attuate dai governi di Brasile, Perù e Colombia, i quali hanno scelto di puntare sugli investimenti esteri per sviluppare il settore energetico del Paese, aprendo così le porte alle multinazionali.
Il Brasile, nel 1998 ha messo fine al monopolio detenuto dalla compagnia statale Petrobras, che comunque rimane la maggior produttrice di greggio. In seguito l’Agenzia nazionale del petrolio (Anp) ha organizzato una serie di aste che hanno permesso a numerose compagnie multinazionali di entrare in territorio brasiliano per esplorazioni e sfruttamento di giacimenti. Ma, come in Messico, questa politica di apertura è vista da buona parte della popolazione come «una svendita» dei beni nazionali. Così, nei mesi scorsi, vi sono state forti proteste popolari contro la decisione presa dalla presidente Dilma Roussef di mettere all’asta lo sfruttamento del megagiacimento offshore di Libra (che ha un potenziale di 1,4 milioni di barili al giorno).
Meno grandeur e più statalismo sembrano chiedere i brasiliani, più inclini alla politica autarchica in tema di energia perseguita dalla presidente dell’Argentina, Cristina Kirchner – che ha deciso l’espropriazione del 51% dell’Ypf detenuto dalla spagnola Repsol. La stessa convinzione, tenere le riserve energetiche sotto controllo dello Stato, anima l’opposizione e buona parte della popolazione messicana. Il controllo delle fonti energetiche si dimostra, dunque, una questione con forti valenze politiche che investe trasversalmente gli schieramenti politici –socialisti, socialdemocratici, conservatori- dell’America latina.

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