Quante storie ci sono dentro Peer Gynt. L’epico poema di Henrik Ibsen che attraversa le tre età dell’uomo alla ricerca della propria identità si gonfia da subito di avventure fantastiche, apparizioni prodigiose, inquietanti immagini femminili che danno corpo alle fantasie erotiche del protagonista. Sogna Peer, e il suo sognare rende concreto un mondo fantastico dentro cui si racconta, nel complesso rapporto edipico con la madre Aase. Eccolo evocare una scorribanda fra boschi e fiordi aggrappato a una renna e poi correre in paese a sfidare uomini e donne; la ragazza che desidera si sposa e lui decide di rapirla ma poi l’abbandona perché ha incontrato la tenera Solvejg. Un sogno che si svolgeva tutto sopra l’enorme letto che riempiva la scena nell’indimenticabile creazione di Aldo Trionfo vista tanti anni fa.

LO SPETTACOLO diretto da Daniele Abbado a Parma sceglie invece la strada della rappresentazione popolare, mettendo in campo un compìto narratore che un po’ riassume, un po’ anticipa gli eventi e questi assumono così un andamento vagamente brechtiano. Con una vitalità quasi da beggars opera, un’operetta da tre soldi. A dare impronta allo spettacolo è infatti la commistione del lavoro di Ibsen con le musiche di scena composte da Edvard Grieg, non solo l’immancabile suite, interpretate qui da una vera orchestra sinfonica, la Filarmonica LaFil di Milano diretta da Marco Seco. Disposta al centro dell’anfiteatro che è sorto alle spalle delle sale del Teatro Due, circondata da un praticabile su cui si aprono tante porte da cui gli attori entrano ed escono a raffica. Vestono tutti fantasiosi costumi molto colorati, che enfatizzano la dimensione favolistica – tutti quelli che non sono i due protagonisti, gli unici a cui è riservata una dimessa dose di realtà (sono l’eccitato Pavel Zelinskij, che qui avevamo già incontrato nel Tempo di seconda mano di Carlo Cerciello e la più misurata Valentina Banci).

ECCO la ragazza vestita di verde che si rivela orrenda principessa dei Trold e il loro re che vorrebbe costringere Peer alle nozze. Muore la madre per lasciare il posto a Solvejg che fedele l’ha atteso per tutta la vita. Peer ha consumato il proprio io strato per strato, come una cipolla, e ora l’aspetta il Fonditore di bottoni che lo condanna a essere fuso nel suo cucchiaio. E alla fine ti chiedi quanto tempo è passato. Forse anni, forse minuti. Perché il sogno di Peer Gynt, cioè il mondo che fa esistere, ha la stessa sostanza del teatro.