Ivan Pedretti, ex segretario generale Spi Cgil e ora candidato alle Europee per il Pd al Nord-Est. Dopo Camusso, ora lei: finita la parentesi Renzi, sta tornando la cinghia di trasmissione di togliattiana memoria tra il partito e il sindacato?
Non c’entra nulla la cinghia di trasmissione, è anticaglia. Il Pd sta recuperando un rapporto con le realtà sociali, non solo il sindacato, anche il terzo settore. La mia candidatura vuole rappresentare il mondo lavoro ma le autonomie sono dettate dai programmi.

Intanto infuria la polemica sui referendum della sua Cgil: Elly Schlein li ha firmati a titolo personale, il Pd non si schiera.
Ritengo che un partitlo che vuole rappresentare il lavoro deve avere il coraggio di dire che le leggi attuali sono sbagliare. A tutto il Pd chiedo che sottoscriva i referendum della Cgil e che ammetta di aver sbagliato a fare il Jobact che ha aumentato la precarietà e la frammentarietà del mondo del lavoro. Bisogna indignarsi se un giovane prende 800 euro al mese e può essere mandato via perché ha il naso storto o è antipatico al suo capo.

I quattro quesiti della Cgil sono però a rischio boomerang: il quorum non si raggiunge da decenni. Nel 2017 Gentiloni cambiò le leggi per evitare i due proposti da Camusso dopo la tagliola della Corte costituzionale su quello sull’articolo 18. Le cose cambierebbero se assieme si tenesse il referendum contro l’autonomia differenziata.
Io penso che il tema della partecipazione dei cittadini al voto – elezioni o referendum – debba essere sempre sostenuto. Noi siamo un paese in cui il 50% non va a votare e questa è una tragedia. Una vita nel sindacato mi ha insegnato che bisogna sempre lottare per cambiare le cose: se non raggiungeremo il quorum, ci sono sempre le leggi di iniziativa popolare che li affiancano.

Pedretti, lei continua a dire «noi» della Cgil…
Noi anche del Pd: io per tutta la vita ho portato avanti l’unità dei lavoratori e dei pensionati. Il rischio per questo paese è che continui ad andare a votare chi è più ricco e che una minoranza decida per tutti. Penso che dobbiamo tornare a pensare che votare è un dovere democratico.

Lei è stato operaio nel bresciano facendo tutta la trafila da delegato. Il mondo del lavoro in questa campagna elettorale fa notizia solo per qualche ora di indignazione per i morti che si susseguono nei cantieri.
Appunto. Bisogna riportare il lavoro a essere orgoglio. Ai miei tempi essere un operaio era un orgoglio, venivi riconosciuto dall’intera società. Bisogna ricostruire l’identità del lavoro e il Pd deve tornare a farlo. Ci sono ancora 23 milioni di lavoratori: è una fascia larghissima di popolazione che non trova parola nei parlamenti: lì ci sono solo avvocati, medici, commercialisti.

In Germania gli esponenti socialdemocratici picchiati dai nazisti sono già due in pochi giorni. È preoccupato per l’ondata di destra in Europa? La sente girando l’Italia?
Mi preoccupa l’idea che al paese serva dare una riposta autoritaria. Quando la presidente del consiglio dice: “Io sono Giorgia”, sta cercando di grattare la pancia alle persone dicendo: “Sono come voi ma poi decido io”. Siamo davanti a un concreto rischio di autoritarismo. L’Europa unita è nata perché qualcuno ha sconfitto il nazifascismo e ha pensato che servisse mettere assieme i paesi. C’è una battaglia culturale da fare e la devono fare tutti i cittadini per non tornare ai tempi scuri dell’autoritarismo.

L’attacco a Rafah tratteggia una guerra ancora lunga in Palestina mentre l’Ucraina chiede armi all’Europa: il tema della pace come fa parte della sua campagna?
Sono abbastanza radicale. Bisogna sostenere la pace per evitare un conflitto nucleare e l’Europa deve tornare protagonista con qualcuno non nominato dai governi come ora, ma eletto dal parlamento. Solo così l’Europa torna autorevole e autonoma, per discutere alla pari con Stati Uniti e Cina.

Lei per otto anni è stato in prima fila a difendere i 16 milioni di pensionati italiani trattati come bancomat dai vari governi alimentando una guerra generazionale. In Europa come pensa di rappresentarli?
Credo che la battaglia fatta in Italia per la una legge sulla non autosufficienza deve diventare una battaglia europea, così come il salario minimo. C’è bisogno di rappresentare un welfare diverso proprio per l’invecchiamento: il 21% dei cittadini europei è pensionato e queste persone vogliono riposte. Serve un sistema fiscale parificato a tutte le persone: in Italia un pensionato è tassato di più di un lavoratore.