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Pedalata d’altri tempi

Pedalata d’altri tempiImmagini dalle precedenti edizioni dell'Eroica

Solo sulle strade bianche della Toscana e con biciclette rigorosamente d’antan, l’Eroica è un tuffo nel passato nei borghi del Chiantishire. Tra vino, fatica e goliardia la gara richiama appassionati da tutto il mondo

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 4 ottobre 2014

Frittole non deve essere tanto lontana da qua. E il riferimento a Non ci resta che piangere di Benigni e Troisi sta proprio nel salto temporale improvviso. Non si arriva al «1400, quasi 1500», ma per un weekend una parte della Toscana e del mitico Chiantishire blairiano fa un salto all’indietro in pieno novecento. Per tre giorni si rivedono comparire personaggi improbabili con baffi d’antan, maglie di lana a tinta unita o al massimo bicolore sbiaditi, strani braghini attillati o salopette, scarpette strette di pelle nera. Protagonista è la bicicletta. Come se il fantasma di Bartali o di quel gran signore e partigiano di Alfredo Martini che ci ha appena lasciato tornassero a percorrere le strade sulle quali sono diventati campioni. Le strade bianche, non asfaltate.

L’inconfondibile ronzio delle catene che girano sulle moltipliche e i rocchetti dei cambi fa da sottofondo a quella che qualcuno ha definito «la Woodstock del ciclismo». Il suo nome è perfino più ingombrante: l’Eroica. Dall’anno di nascita, il 1997, è cresciuta piano piano diventando negli ultimi anni un vero cult per gli appassionati della due ruote di tutto il mondo. Nata come Fondazione per la salvaguardia del patrimonio delle strade bianche della Toscana, quelle fatte di sassi battuti tutelate dall’Unesco e dall’amore degli abitanti di questo angolo di paradiso, è diventata un appuntamento imperdibile per compassati avvocati newyorchesi, fricchettoni olandesi, coreani fuori di testa per Francesco Moser, persino arabi con l’insana passione per la pedalata in mezzo al deserto. Poi ci sono i “sadici” che usano bici stile circo col ruotone anteriore e un minuscolo ruotino posteriore stile circo o i tandem con ruote di legno. Da qualche anno partecipa anche una squadra molto particolare con la maglietta rossa: alcuni giornalisti de l’Unità, ora cassintegrati e dunque, si presume, più allenati.

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Si ritrovano tutti – più di 5mila – la prima domenica di ottobre per la corsa che parte e arriva dalla piazzetta di Gaiole in Chianti. Si ritrovano la notte perché la partenza è fissata per le 5, quando il buio viene bucato dalle lampadine attaccate al telaio, o sopra la testa, indispensabili per scalare e poi per scendere dal Castello di Brolio, residenza della famiglia Ricasoli, famiglia che all’Italia ha dato un presidente del Consiglio della destra storica, ma genuina. Si ritrovano in buon numero sotto le tende allestite nel campo sportivo. Si ritrovano nei bar per il cicchetto, la prima delle tante “bombe” che dovranno portarli all’arrivo. Si ritrovano in fila indiana sotto lo striscione di partenza per la punzonatura: il sacro controllo della regolarità delle bici. Sì, perché l’Eroica va disputata rigorosamente con bici prodotte prima del 1987 con tre regole auree: gabbietta e cinghietti per i pedali, manettini del cambio sul telaio, fili dei freni che escono dalle leve. Basta la mancanza anche di una sola delle tre caratteristiche per far squalificare il partente.

Patiti delle due ruote a trazione umana a parte, lo spettacolo è fatto dal contesto e dal contorno. Le colline della Valdarbia, della Valdorcia e delle Crete Senesi ai primi cenni di autunno sono cangianti come le foglie: la terra arata dei campi coltivati fa da contrasto alle tonalità di rosso e verde dei filari delle vigne. Poi ci sono gli amici e familiari dei corridori a fare il tifo degno della torcida brasiliana, insieme a un numero di turisti – vero indotto della manifestazione – stimabile in migliaia e migliaia di persone che riempiono la zona per almeno due notti.

Ognuno poi parte per il suo viaggio. I percorsi tra cui scegliere sono quattro: “breve” di 35 chilometri, medio di 75 e due propriamente “eroici”: quello da 135 ad anello Vescovado e Asciano e quello da “temerari” di 209 arrivando a sud con la salita infinita a Montalcino e il passaggio a Pieve a Salti, dove i tratti su strade bianche sono circa la metà del totale da percorrere.

La fatica è personale, ogni muscolo delle gambe si riempie di acido lattico e stanchezza in modo diverso. Lo sforzo però è condiviso e socializzato: fra ciclisti la solidarietà trionfa sempre. Ci si dà una spinta, una parola di conforto, un incitamento, una battuta per sdrammatizzare e alleviare l’immane fatica.

L’Eroica non esisterebbe poi senza i “ristori” gestiti da oltre mille volontari: ben otto per la 209 chilometri, quattro per la 135. Qui c’è la vera essenza della corsa: ogni paese che ospita un ristoro prepara una vera e propria sagra fatta di costumi e prodotti tipici: farro, salumi, frutta, crostate e dolci. L’immancabile paiolo di ribollita sul fuoco viene rimestato dall’alba al tramonto e offerto in dono assieme all’immancabile bicchiere di Chianti. Declinare l’invito è difficile e gli effetti si vedono appena la lunga sosta si conclude e si ricomincia a pedalare. Le bestemmie volano alte mentre si scalano le infinite rampe del Sante Marie o della salita verso Montalcino. Si pedala però in compagnia. Chi buca, e succede spesso, ha sempre qualcuno che si sporca le mani per aiutarlo tra mastice, tubolari e camere d’aria.

L’altro ingrediente immancabile dell’Eroica – sempre che non piova e nel caso è peggio – è la polvere. Le strade sono sì bianche, ma diventano subito nuvole grigie appena un solo tubolare le attraversa. La polvere si respira, si mangia e si sputa in un progressivo abbrutimento che colpisce inevitabilmente ogni eroico. Mettere il piede a terra è pratica di – quasi – tutti. Non comporta squalifiche, anzi. Rafforza la vera caratteristica di questa che più che una gara è un’esperienza di vita comune che arricchisce ogni partecipante. Fra questi anche il neo campione del mondo, il polacco Michal Kwiatkowski: a marzo ha vinto la versione professionisti che si tiene da qualche anno, a conferma che «l’Eroica porta bene». Unico caso al mondo in cui una rievocazione storica ha prodotto una gara professionistica e non viceversa.

Lui le salite le fa con la moltiplica grande. Domenica invece, a sole già tramontato, in tanti staranno come al solito ancora smanettando sul cambio e raccogliendo le ultime gocce di energia per tornare a Gaiole e concludere la via crucis gaudente.

Alla fine un vincitore, un primo arrivato c’è. Ma non passerà alla storia. La storia la fanno tutti quelli che riescono a raggiungere il traguardo, potendosi fregiare dell’appellativo di eroici. Si arriva morti e stramorti. La sera però ci si rifà con un bel bicchiere di rosso e una fiorentina. Tanto per digerire la ribollita del mattino. Alla faccia dei salutisti e del doping, per ritrovare il vero ciclismo.

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