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Peccato e redenzione a Ellis Island

Peccato e redenzione a Ellis IslandJoaquin Phoenix e Marion Cotillard

Prima visione Il quinto film di James Gray «C'era una volta a New York»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 16 gennaio 2014

L’esperienza della sua famiglia di ebrei immigrati in America dalla Russia nel 1923, il melodramma hollywoodiano anni trenta/quaranta (Davis, Stanwyck, Crawford….), Puccini ( Suor Angelica ), Theodore Dreiser ( Sister Carrie ) e Il diario di un curato di campagna di Bresson: questi i punti di partenza a cui si ancora C’era una volta a New York (The Immigrant), quinto film del newyorkese James Gray e, in un certo senso, il suo più «normalizzato», meno interessante.

Dopo i laceranti quadri famigliari di Little Odessa , The Yards , We Own the Night e Two Lovers , il regista e co-sceneggiatore (insieme a Richard Menello) costruisce un intero film su un personaggio femminile, creato appositamente per Marion Cotillard. Anzi, si può dire quasi per il suo volto (che, ha detto Gray, gli ricorda quello di Falconetti/Giovanna d’Arco) Siamo nel 1921. Ewa Cybulski (Cotillard) arriva a Ellis Island dalla Polonia insieme a sua sorella Magda. È previsto che a New York saranno ospitate da una zia. Ma Magda viene spedita all’ospedale dell’isola perché si sospetta che abbia la tubercolosi e il piccolo tratto d’acqua che separa Ellis Island da Manhattan diventa insormontabile anche per Ewa, perché accusata di comportamento indecente durante la traversata atlantica. Gli zii, le dicono infine le autorità, non esistono. Tutto sembra perduto fino a che Bruno Weiss (Joaquin Phoenix, coprotagonista degli ultimi 3 film di Gray) si offre di aiutarla, farla sbarcare illegalmente e trovarle un lavoro in modo da pagare le cure della sorella.

Bruno è il protettore di un gruppo di ballerine da burlesque/prostitute che recluta regolarmente tra le ragazze cui viene negato accesso legale negli States (sarebbe inspirato da un protettore di nome Max Hotchstin, esistito veramente e di cui Gray ha appreso dalle storie tramandate nella sua famiglia). Ewa, però, è diversa dalle altre e lui se ne innamora. Al punto che, anche se la costringe a prostituirsi, non la tocca e accetta di dividere al 50% quello che lei guadagna con i clienti. Dopo aver trovato gli zii e -tentare invano di farsi accogliere da loro, Ewa ha un solo pensiero: accumulare il denaro per riscattare sua sorella. Anche a costo di lavorare per Bruno. Grey si muove sulla matrice letteraria classica dell’eroina ipersventurata da romanzo ottocentesco. E Cotillard alterna all’espressione eternamente sofferente sfumature di tragico e di risoluto.

Ma il fascino e il mistero che ovviamente Gray ha immaginato nel suo personaggio non si trasmette al pubblico. Darius Kondki filma la sordida downtown newyorkese plasmando la luce della sua fotografia sui quadri di George Bellowes e sulle immagini dei teatri di varietà di Everett Shinn. Il fatto che Ewa sia polacca e cattolica aggiunge al film il potenziale di un sottofondo religioso che, oltre a Bresson potrebbe ricordare Matarazzo. Ma il tema dell’amore e del perdono viene sbrigato in fretta, riduttivamente e in modo meccanico, con una confessione in chiesa. E, per un regista che ha sempre dimostrato passione profonda e conoscenza istintiva del melodramma, C’era una volta… risulta poco fiammeggiante e considerate tutto il bagaglio di citazioni letterarie e cinematografiche che si porta dietro. In passato, i film di Gray (The Yards in particolare, ma anche We Own the Night) possono essere sembrati irrisolti, non completamente «finiti». I problemi di postproduzione di alcuni (specialmente The Yards) sono stati riportati sui giornali. In quel senso, The Immigrant è probabilmente il suo film più «finito», chiuso. Ma anche quello più inaspettatamente piatto. E in cui più si sente l’intervento di un controllo esterno. Peccato.

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