Pd, la linea regge ma il reggente no
Democrack Martina ripete la linea dell’arrocco ma non è abbastanza per i renziani. Orfini: M5s distante da noi quanto la Lega. Domani al Colle i dem ripetono: saremo opposizione Intanto cercano un segreario, risale l’ipotesi Delrio
Democrack Martina ripete la linea dell’arrocco ma non è abbastanza per i renziani. Orfini: M5s distante da noi quanto la Lega. Domani al Colle i dem ripetono: saremo opposizione Intanto cercano un segreario, risale l’ipotesi Delrio
La «linea della fermezza» resta granitica: la riunione dei parlamentari Pd stavolta non ha bisogno di votare per certificare che la stragrande maggioranza degli eletti resta sulla linea «dell’arrocco» dettata da Matteo Renzi il giorno stesso delle dimissioni, il 5 marzo scorso. I quattro della delegazione dem (il reggente Martina, il presidente Orfini, i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci) domani saliranno al Colle per il secondo giro di consultazioni. Lì ripeteranno il copione già recitato la scorsa settimana.
LE POSIZIONI RESTANO le stesse: il fronte renziano, con il «reggente» in testa che svolge la relazione di apertura, illustra le riscoperte virtù benefiche dell’opposizione. Su questa strada il consueto eccesso di zelo spinge l’ex capogruppo Rosato fino ad affermare che sarebbe stato meglio «non appoggiare il governo Monti nel 2011».Sostenerlo nel Pd all’epoca era un’eresia estremistica.
I MINISTRI Franceschini e Orlando ripetono la loro parte di «aperturisti» verso i 5 stelle, anche se l’interpretazione letterale del loro ragionamento sulla formazione del governo è sempre più misteriosa: «Vogliamo condizionare o no questo processo? O non ci riguarda? Preferiamo che il M5S vada verso i populisti di destra?», chiede retoricamente alla platea proponendo una fase due, «Visto che i 5 stelle non sono riusciti a fare il governo, perché non possiamo noi sviluppare un’iniziativa anziché rifiutare il confronto?». Così Andrea Orlando: «Il M5s deve uscire dall’ambiguità», dice, «invitare Di Maio a rompere con Salvini è un modo per spingere i 5 stelle in questa direzione, ma non vuol dire voler governare con loro».
IL DIALOGO DALL’OPPOSIZIONE presuppone comunque l’esistenza di un governo. Ma quale, se l’intento è quello scongiurare un esecutivo giallo-verde giurando però di non voler offrire un appoggio ai grillini?
ALL’OPPOSTO c’è la posizione del presidente Matteo Orfini, la più netta di tutte: «Il M5s non è una costola della sinistra ed è distante dal Pd, almeno quanto il Pd è distante dalla Lega», dice.
Come sulle analisi, anche sulle prospettive le posizioni sono agli antipodi: la maggioranza renziana è certa che l’esecutivo Di Maio-Salvini nascerà e indica l’accordo nella commissione speciale sulla presidenza del leghista Giorgetti come la prova provata di un intesa già stretta. Le minoranze credono a un futuro opposto: «Nello scenario attuale è probabile che si torni a votare», dice Orlando.
In ogni caso, dati i numeri,la linea del Pd non si sposta di una virgola. E alla fine Martina certifica il niente di fatto e aggiorna tutti a dopo il secondo giro di consultazioni. «Interessante il dibattito, ma non emergono linee alternative. Il dibattito vero è sul come opposizione, non sul se fare opposizione», twitta il professore Stefano Ceccanti.
IL DIBATTITO VERO in realtà si ricava ascoltando le parentesi. L’attenzione dei dirigenti Pd è tutta sulla assemblea nazionale del 21 aprile. Il «reggente» Maurizio Martina in teoria vorrebbe promettere barricate che chiede Orfini contro i 5 stelle, ma lo fa in politichese: «Noi siamo parte di una iniziativa che si svilupperà per le vie parlamentari, senza stare alla finestra». L’effetto è fatalmente rovinato.
NON È UN BUON VIATICO per convincere i mille delegati dell’assemblea del 21 aprile, abituati ai fuochi d’artificio dell’ex leader, ora senatore semplice che lì parlerà per la prima volta dopo le dimissioni. La maggioranza dei renziani si sta via via convincendo che sancire la segreteria di Martina fino alle prossime europee rischia di prolungare l’agonia del vecchio Pd ritornato «collegiale». Con il rischio che le divisioni interne fra macronisti e non si acuiscano sempre di più e siano i renziani ad essere tentati dalla fuga. Ma ai seguaci dell’ex segretario – manca un candidato. Fin qui si è lanciato Matteo Richetti, pronto a correre ma con le primarie, ma non convince.
RENZI, CHE FIN QUI non ha ancora deciso che indicazioni dare, potrebbe avere una carta coperta, quella di Graziano Delrio: «Il vero candidato alla segreteria sarà Delrio», spiegava ieri un dirigente dem. Anche se fin qui ha detto di aver deciso di non correre da segretario con un consulto di famiglia. «A me risulta che potrebbe cambiare idea, lui ne ha voglia».
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