Pd, direzione sul referendum. Ma la legge elettorale si allontana
Riforme Zingaretti costretto al richiamo al voto utile per le regionali non può più sperare nei 5 Stelle per un voto in commissione sul proporzionale. Nel partito aumentano le difficoltà, e i dissensi, sul sostegno al taglio dei parlamentari. Il confronto rinviato a settembre
Riforme Zingaretti costretto al richiamo al voto utile per le regionali non può più sperare nei 5 Stelle per un voto in commissione sul proporzionale. Nel partito aumentano le difficoltà, e i dissensi, sul sostegno al taglio dei parlamentari. Il confronto rinviato a settembre
«Spero che la legge elettorale venga approvata a larga maggioranza», dice Luigi Di Maio collegato in video con il Meeting di Rimini dove va in scena il primo dibattito politico estivo in presenza con i rappresentanti di tutti i partiti. La domanda proposta dai ciellini è se «Serve ancora il parlamento?» e ovviamente non c’è nessuno che risponda di no, neanche chi quotidianamente parlaa delle camere come depositi di poltrone. Nemmeno Di Maio, che però dice che «il parlamento è in crisi» e se lo spiega con «la caduta dell’etica» dei parlamentari e con il fatto che «si fanno emendamenti e leggi come comunicati stampa, si approvano solo per dire di averle fatte». Questo dice Di Maio.
Ma è più importante l’auspicio sulla legge elettorale, perché il Pd che non ha ancora preso una posizione ufficiale sul referendum – sì o no al taglio dei parlamentari – è ancora appeso alla richiesta di un primo passaggio sulla legge elettorale. Almeno alla camera, o almeno in commissione.
Di Maio allarga il quadro, aprendo al contributo dell’opposizione. Non tutta l’opposizione, perché Salvini – anche lui a Rimini – sentenzia che «il proporzionale è la morte dell’economia e dello stato italiano». Ma Forza Italia sì, invece gradirebbe la legge proporzionale. Purtroppo per Zingaretti, però, non prima delle regionali. Perché non può rompere il fronte del centrodestra in prossimità del voto. E per allora neanche Italia viva vuole sentirne parlare: «Le priorità sono altre», insiste Maria Elena Boschi davanti alla platea di Cl. Del resto se Zingaretti, per provare a mantenere le regioni in bilico, dovrà spendere il prossimo mese a fare l’appello al voto utile, piantando un dito nell’occhio dei 5 Stelle come ha cominciato a fare, non può sperare che i grillini ricambino con la massima disponibilità sulla legge elettorale. E senza un passaggio sulla legge elettorale il problema di come schierarsi al referendum costituzionale il Pd ce l’ha tutto.
Lo affronterà, si è saputo ieri, in una direzione a inizio settembre. L’hanno chiesta in molti. Perché sono molti quelli che nel partito stanno prendendo parola in favore del no. «Sul referendum alcuni sostengono che per non lasciare una riforma populista in mano ai populisti dobbiamo diventare anche noi populisti invece che contrastare il populismo – batte sul tema Matteo Orfini -. Tesi suggestiva. Ma onestamente a me pare molto più efficace votare no». La riunione di direzione l’aveva chiesta nei giorni scorsi il comitato dei «democratici per il no» i cui senatori hanno firmato la richiesta di referendum in opposizione alla riforma costituzionale. L’unica volta che la direzione dem si era pronunciata sull’argomento lo aveva fatto proprio per bacchettare gli iscritti che avevano sostenuto quella richiesta. Il referendum evidentemente è un problema per il Pd e non è un caso che i rappresentanti del partito stiano disertando le tribune politiche televisive dove pure si sono iscritti come rappresentanti del sì.
Ma non sono solo i democratici a essere divisi sul sì e no al taglio dei parlamentari. Lo è anche Forza Italia, dove ieri si è registrata la presa di posizione per il no del responsabile affari costituzionali del partito, Francesco Paolo Sisto. E lo sono persino i 5 Stelle, visto che dalla Sardegna – una regione la cui delegazione al senato sarà particolarmente sacrificata con il taglio – ieri si sono aggiunti i no della deputata Lapia e del deputato Vallascas.
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