Pd, De Luca jr vice alla Camera. Fuori la sinistra
Nepotismi Il figlio del governatore campano è imputato dal 2017 per bancarotta. La sinistra dem accusa: nei gruppi un monocolore ex renziano
Nepotismi Il figlio del governatore campano è imputato dal 2017 per bancarotta. La sinistra dem accusa: nei gruppi un monocolore ex renziano
«È peggio di prima», «È un monocolore degli ex renziani». Tra i deputati della sinistra Pd l’umore è a terra. «Siamo praticamente scomparsi dalla governance dei gruppi parlamentari…». Mercoledì sera si è chiuso il pacchetto anche alla Camera.
I tre vice di Debora Serracchiani sono Piero De Luca (40 anni, alla prima legislatura, figlio del governatore campano, sponsorizzato direttamente da Luca Lotti che sulla sua nomina ha chiuso l’accordo con la neo capogruppo per portarle i voti della corrente), Marina Berlinghieri (area Franceschini) e Roberto Morassut, vicino a Zingaretti e Bettini.
A sorpresa, Serracchiani non ha indicato un vicario, ruolo che nell’accordo era previsto per De Luca. «Non è previsto nello statuto che ci debba essere un vicario», spiegano fonti vicine alla capogruppo.
In realtà su De Luca jr si è consumato uno strappo. Serracchiani nei giorni scorsi ha chiesto a Michele Bordo (sinistra dem, era vicario con Delrio) di fare il vice, spiegandogli che il ruolo di vicario era però destinato al giovane avvocato di Salerno. Bordo è insorto: «Non è possibile che il capogruppo e il vicario siano entrambi ex renziani, così si umilia la sinistra». E si è chiamato fuori dalla partita.
Serracchiani ha così deciso di temporeggiare: ha nominato tre vice pari grado, poi, quando le acque si saranno calmate, assicurano fonti dem, arriverà l’agognata promozione di De Luca Jr. a numero due del Pd alla Camera.
E pensare che proprio lei, nel famoso discorso del marzo 2009 che la rese famosa, aveva tuonato contro i «i giovani scelti solo perché figli di…». Tonnellate d’acqua sono passate sotto i ponti, e Debora ha capito le regole della realpolitik.
E del resto dire no a De Luca (padre) sarebbe stato difficile. Già aveva fatto il diavolo per far entrare il figlio nei governi (prima il Conte 2, poi Draghi) come sottosegretario. Poi, la scelta di Zingaretti di indicare solo donne per colmare il vuoto tra i ministri, insieme al veto dei 5 stelle, gli ha sbarrato la strada. Ancora: un tentativo per inserirlo nella nuova segreteria di Letta. Fallito.
Restava solo il gruppo alla Camera, per uno scatto di carriera del quarantenne rampollo, e così è stato. Serracchiani, per altro, con lui non ha mai avuto particolare consuetudine: i capi corrente (Lotti e Guerini) hanno fatto quel nome e lei ha preso nota.
Se si guarda anche al Senato, il panorama sembra davvero quello del monocolore: la capogruppo Simona Malpezzi e due suoi vice, Alan Ferrari (vicario) e Caterina Biti sono ex renziani di Base riformista. Unico “dissidente” è Franco Mirabelli, vicinissimo a Franceschini. Sinistra? Zero.
Quanto a De Luca, a Napoli i dem tirano un paradossale sospiro di sollievo: «Magari adesso che ha piazzato il figlio, Vincenzo ci lascia lavorare in pace per il candidato sindaco». Non è un mistero che il governatore non sia entusiasta dell’alleanza col M5S su Napoli. E ancor meno dell’ipotesi che sia candidato Roberto Fico (definì lui, Di Maio e Di Battista «tre mezze pippe»).
Su De Luca jr (che era capogruppo in commissione politiche europee) pesa un cursus politico non proprio sfolgorante: nel 2018 perse nel collegio di Salerno, regno del padre, e fu ripescato nel listino proporzionale di Caserta. Poi c’è il processo per il crac Ifil, in cui è imputato per bancarotta dal 2017 (non c’è ancora stata la sentenza di primo grado). Secondo l’accusa, la società avrebbe pagato a De Luca jr biglietti aerei per 13mila euro.
Il codice etico del Pd dice che chi è rinviato a giudizio non potrebbe essere candidato. Ma Renzi superò il problema senza troppi patemi. Così come sono state superate le vecchie ruggini tra De Luca senior e Enrico Letta. Quando nel 2015 lui si candidò alle regionali (nonostante una condanna in primo grado per il termovalorizzatore di Salerno poi cancellata dalla Cassazione), Letta parlò di «doppia morale» del Pd. La stessa che deve aver spinto Serracchiani a promuovere un rampollo eccellente.
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