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Pd, cresce il no a Draghi: resti al governo. Letta: «Non possiamo dividerci sul Colle»

Pd, cresce il no a Draghi: resti al governo. Letta: «Non possiamo dividerci sul Colle»Enrico Letta – LaPresse

La corsa Bonaccini guida l’ala che non tifa per il premier al Quirinale. Che è maggioranza tra i parlamentari dem

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 24 dicembre 2021

La mossa di Draghi sul Quirinale agita il Pd, molto più di quanto appaia in superficie. Sulla sfida per il Colle la pax lettiana, suggellata dalla vittoria alle comunali, rischia di frenare. Già, perché la disponibilità del segretario a ragionare sull’ipotesi di trasloco del premier («Ha i requisiti giusti per fare il capo dello Stato», il pensiero di Letta) agita la truppa parlamentare, timorosa di un salto nel vuoto. E rischia di dividere i grandi elettori dem, che questa volta sono molti meno del passato.

NON CI SONO SOLO gli ex renziani di Base riformista a frenare sul trasloco di Draghi. Il disagio è trasversale: l’idea del premier che la”baracca” possa andare avanti anche senza di lui non è per nulla condivisa. Così come si ritiene che «trovare un sostituto a palazzo Chigi condiviso da tutta la maggioranza attuale sarà tutt’altro che semplice». In questo disagio ci sono ragioni nobili, come il ritorno della pandemia a numeri record, la crisi energetica, la messa a terra del Pnrr, e anche meno alte, come il terrore che Letta voglia correre al voto per scegliersi i prossimi parlamentari.

Su questa linea è anche il presidente emiliano Stefano Bonaccini, che ha dismesso i panni di terno sfidante per la leadership dichiarando lealtà a Letta, ma insiste sulla permanenza di Draghi a palazzo Chigi fino al 2023. «Oggi la stabilità è uno dei valori aggiunti che questo Paese ha accumulato, grazie alla personalità più autorevole che abbiamo in Europa e nel mondo», ha detto ieri su Raiuno. «L’ unico mio timore è che l’uscita da premier di Mario Draghi comporti nell’ultimo anno di legislatura, quello più importante per il Pnrr, per farlo attivare davvero, di avere un governo con una personalità non altrettanto autorevole e il rischio di fibrillazioni, perché non tutti i componenti della maggioranza sono così tranquilli».

AD OGGI, NEL GRUPPO parlamentare Pd (scelto da Renzi nel 2018) questo umore viene definito «prevalente». Condiviso anche dall’area che fa riferimento a Dario Franceschini, spesso decisiva negli equilibri dem. Letta lo sa perfettamente e per questo ha fissato per il 13 gennaio una prima riunione congiunta dei parlamentari e della direzione (più vicina alla linea del segretario). L’obiettivo è quello di impugnare il cacciavite e compattare la truppa. «Non possiamo dividerci sul Quirinale», il messaggio che il segretario sta lanciando a tutte le anime del partito, forte del dialogo che in questi mesi ha tenuto con tutti, compresa l’area che fa riferimento al ministro Guerini.

LA SUA MISSIONE È COMPLESSA ma non impossibile. Anche perchè Letta continua a mandare segnali sul proseguimento della legislatura, sulla possibilità di condurre la doppia operazione su Colle e palazzo Chigi «in modo ordinato». «Sono due partite inscindibili», ribadiscono dal Nazareno, convinti che, in ogni caso, l’elezione di un presidente di centrodestra con una maggioranza ristretta porterebbe comunque a una crisi di governo e a quel punto il voto sarebbe quasi inevitabile.

Letta lo dice da settimane, mercoledì è stato Draghi stesso a confermarlo: «È immaginabile una maggioranza che si spacchi sulla elezione del presidente della Repubblica e si ricomponga nel sostegno al governo?».

PER IL LEADER PD ovviamente non c’è solo il premier in corsa. Ma certo non è facile trovare un nome che possa unire come quello di Draghi. Il problema è che tra i dem molti pensano che con un sostituto a palazzo Chigi il governo non avrebbe la forza di andare avanti. Per questo si fa con insistenza il nome di Giuliano Amato (gradito anche a pezzi della sinistra), anche in un’ipotesi di un mandato breve. O quello di Marta Cartabia.

Ma nella truppa Pd, pur di evitare il trasloco del premier, si arriva anche a ipotizzare di poter votare un nome «presentabile» del centrodestra, da Marcello Pera a Letizia Moratti. Ipotesi che, è bene ricordarlo, non hanno il placet del Nazareno, e tuttavia circolano nei conversari tra i parlamentari. Di certo, per chi non vuole che sia Letta a fare le liste delle prossime politiche, la partita del Colle è l’ultima occasione per azzopparlo. E di sicuro qualcuno ci proverà.

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